TAR Campania (NA) Sez.III sent. 10369 del 4 dicembre 2006
Urbanistica. Sanatoria



n. 10369/06 Reg. Sent.



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sezione III, composto dai Signori:
1) Dott. Ugo De Maio Presidente
2) Dott. Vincenzo Cernese Consigliere
3) Dott.ssa Maria Laura Maddalena Referendario rel.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi n. 8751/2001 e 5983/2003, proposti da Angelo Antonio Vitiello, rappresentato e difeso dall’avv. Marcello Padricelli, con domicilio eletto in Napoli, via San Giuseppe dei nudi, 47/A;
CONTRO
Il comune di Pompei, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. V. Giuffrè, con domicilio in Napoli, via Parco Margherita n. 3;
PER L’ANNULLAMENTO
Dell’ordinanza del comune di Pompei n. 316 del 12.6.2001, prot. n. 18486, notificata in data 13.6.2001, con la quale si ingiunge al sig. Vitello Angelo Antonio la rimozione del prefabbricato in c.a.; del manufatto in muratura con copertura di lamiere per il ricovero degli attrezzi agricoli, il muretto di recinzione; di ogni altro atto connesso, preordinato o consequenziale;
- impugnato con il ricorso n. 8751/2001
del provvedimento del comune di Pompei n. 6088 del 21.2.2003, notificato in data 15.2.2003, con cui il dirigente U.T.C. del comune di Pompei ha rigettato al domanda diretta ad ottenere la concessione in sanatoria ex art. 13 della l. n. 47 del 1985, per la realizzazione di un immobile sito in via Arpaia n. 41;
- impugnato con il ricorso n. 5983/2003
Visti gli atti di ricorso e con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata;
Visti tutti gli atti di causa;
Relatore alla udienza pubblica del 26 ottobre 2006 la dott. ssa Maria Laura Maddalena;
Uditi i difensori delle parti come da verbale di udienza;
FATTO
Con il ricorso n. 8751/2001, il ricorrente, Vitello Angelo Antonio, ha impugnato il provvedimento con cui il comune di Pompei gli intimato la demolizione di opere abusivamente realizzate in via Arpaia, consistenti in un prefabbricato in c.a., un manufatto in muratura con copertura di lamiere per il ricovero degli attrezzi agricoli e un muretto di recinzione.
Il ricorso è articolato nei seguenti motivi di impugnazione:
1) violazione e falsa applicazione della l. n. 47 del 1985 e dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990, eccesso di potere per sviamento perché l’amministrazione comunale, prima di ordinare la demolizione, deve verificare se ricorrono le condizioni ed i requisiti per il rilascio della concessione edilizia in sanatoria, peraltro richiesta in via cautelativa dal ricorrente;
2) violazione e falsa applicazione della l. n. 47 del 1985 e dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990, eccesso di potere per omessa istruttoria, inesistenza dei presupposti in fatto e in diritto, poiché l’ordinanza impugnata è stata adottata senza valutare la possibilità di sanare la costruzione ai sensi degli strumenti urbanistici vigenti;
3) violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della l. n. 47 del 1985, violazione del giusto procedimento di legge, eccesso di potere per genericità e perplessità perché il provvedimento impugnato avrebbe dovuto indicare le sanzioni cui la ricorrente andava incontro in caso di inottemperanza e non limitarsi ad una generica formulazione che prevede il ricorso alla procedura di acquisizione in caso di ottemperanza;
4) violazione e falsa applicazione della l. n. 1497 del 1939, della l. n. 431 del 1985, della l. n. 64 del 1974, della legge della regione Campania n. 9 del 1983, eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, motivazione carente o comunque incongrua e perplessa, poiché il lotto di terreno dove insistono i manufatti oggetto del provvedimento impugnato non risulta gravato da vincoli previsti dal p.r.g. e comunque di essi non è stata data alcuna dimostrazione;
5) violazione e falsa applicazione della l. n. 241 del 1990, eccesso di potere per sviamento della causa tipica, perché il provvedimento impugnato non ha considerato che il manufatto rustico era già esistente.

Con il ricorso n. 5983/2003, il ricorrente ha impugnato il rigetto della concessione in sanatoria per le opere abusivamente realizzate in via Arpaia n. 41. Il provvedimento di rigetto è motivato in relazione all’eccedenza della cubatura realizzata rispetto a quella assentibile nella zona.
Deduce i seguenti motivi di impugnazione:
1) violazione e falsa applicazione della l. n. 47 del 1985, art. 3 della l. n. 241 del 1990, art. 97 Cost. eccesso di potere per difetto e/o carenza di motivazione, sviamento perché il provvedimento di rigetto della concessione in sanatoria non indica le specifiche prescrizioni urbanistiche violate e perché non considera il fatto che il manufatto è stato realizzato in parte prima del 1967 e pertanto è assentibile in sanatoria al di fuori dei parametri volumetrici vigenti;
2) violazione e falsa applicazione della l. n. 47 del 1985, art. 3 della l. n. 241 del 1990, art. 7 della l. n. 212 del 2000, eccesso di potere per difetto di motivazione e carenza di istruttoria, non potendosi comprendere quale sia il percorso logico giuridico che la p.a. ha seguito nell’applicare i principi generali al caso concreto;
3) violazione e falsa applicazione della l. n. 47 del 1985, art. 3 della l. n. 241 del 1990, violazione della l. n. 1147 del 1939, della l. 1150 del 1942, della l. reg. campana n. 9 del 1983, eccesso di potere per difetto di motivazione e per carenza di istruttoria, perché l’amministrazione non ha accertato se il manufatto deturpi o meno il bene paesaggistico tutelato, contrasti con i vincoli archeologici o con la normativa antisismica;
4) violazione e falsa applicazione della l. n. 47 del 1985, art. 3 della l. n. 241 del 1990, violazione della l. n. 1147 del 1939, della l. 1150 del 1942, della l. n. 493 del 1993, della l. reg. campana n. 10 del 1982, violazione del giusto procedimento, eccesso di potere per difetto di motivazione e carenza di istruttoria, genericità e perplessità, per mancanza del parere della commissione edilizia e della parere in materia ambientale;
5) violazione e falsa applicazione della l. n. 47 del 1985, della l. n. 1497 del 1939, del P.R.G. del 1958 eccesso di potere per travisamento dei fatti difetto di istruttoria, motivazione carente o comunque incongrua e perplessa, perché il manufatto in questione è stato costruito in aderenza ad un immobile preesistente all’anno 1967, al quale pertanto va applicata, ratione temporis, la precedente disciplina urbanistica del p.r.g. del 1958, in base alla quale non era previsto alcun lotto minimo e per il quale l’indice di edificabilità era pari a 0,30;
6) Violazione dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990, del principio di non contraddittorietà dei provvedimenti provenienti dalla medesima attività amministrativa, perché il comune di Pompei ha ritenuto irrilevanti i pareri in materia ambientale mentre in passato, nelle ordinanze di demolizione, aveva ritenuto violate le leggi di tutela ambientale;
7) Violazione dell’art. 7 della l. n. 241 del 1990, del giusto procedimento di legge ed eccesso di potere, per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento.
8) violazione e falsa applicazione della l. n. 241 del 1990 eccesso di potere per sviamento dalla causa tipica, perché l’amministrazione non ha considerato la porzione di manufatto, di proprietà del ricorrente, già esistente anteriormente all’entrata in vigore del vigente strumento urbanistico.
Il comune si è costituito unicamente in relazione al ricorso n. 8751/2001 ed ha depositato memoria difensiva, chiedendo il rigetto del ricorso.
All’udienza camerale del 7.4.2005, l’istanza cautelare proposta nel ricorso n. 5583/2003 è stata respinta.
Il ricorrente ha depositato una memoria per l’udienza, ulteriormente argomentando le proprie difese.
All’odierna udienza, le cause sono state trattenute in decisione.
DIRITTO
1. I ricorsi devono essere riuniti per evidenti motivi di connessione soggettiva ed oggettiva. Infatti, con il ricorso n. 8751/2001, il ricorrente impugna il provvedimento n. 316 del 2001 del comune di Pompei con cui gli è stata intimata la demolizione di opere abusivamente realizzate in via Arpaia entro 90 giorni e il ripristino dello stato dei luoghi. Con il ricorso n. 5983/2003, lo stesso ricorrente ha impugnato il rigetto della concessione in sanatoria richiesta per tali opere.
Sempre in via preliminare, rileva il collegio di non poter procedere ad una declaratoria di improcedibilità nel primo ricorso, per sopravvenuta carenza di interesse determinatasi a seguito della presentazione della istanza di concessione in sanatoria.
Il collegio è naturalmente a conoscenza del consolidato orientamento giurisprudenziale, anche di questo tribunale, secondo il quale, la presentazione dell'istanza di sanatoria successivamente alla impugnazione dell'ordinanza di demolizione - o alla notifica del provvedimento di irrogazione delle altre sanzioni per gli abusi edilizi - produce l'effetto di rendere inefficace tale provvedimento e, quindi, improcedibile l'impugnazione stessa, per sopravvenuta carenza di interesse, in quanto il riesame dell'abusività dell'opera, sia pure al fine di verificarne la eventuale sanabilità, provocato da detta istanza, comporterebbe la necessaria formazione di un nuovo provvedimento (di accoglimento o di rigetto), che varrebbe comunque a superare il provvedimento sanzionatorio oggetto dell'impugnativa (cfr. Cons. Stato, sez. V, 21 aprile 1997, n. 3563; sez. IV, 11 dicembre 1997, n. 1377; C.G.A. 27 maggio 1997, n. 187; T.A.R. Sicilia, sez. II, 5 ottobre 2001, n. 1392; T.A.R. Liguria, sez. II, 14 dicembre 2000, n. 1310; T.A.R. Toscana, sez. III, 18 dicembre 2001, n. 2024; T.A.R. Puglia, Bari, sez. II, 11 gennaio 2002, n. 154; T.A.R. Campania, Sez. IV, 25 maggio 2001, n. 2340, 11 dicembre 2002, n. 7994, 30 giugno 2003, n. 7902, 2 febbraio 2004, n. 1239, 13 settembre 2004, n. 11983).
Da tale ultimo orientamento, tuttavia, questa sezione ha sempre inteso discostarsi, non ritenendo che la mera presentazione della domanda di sanatoria ex art. 13 della l. n. 47 del 1985, oggi accertamento di conformità di cui all’art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, possa di per sé sola comportare la definitiva inefficacia dell’ordine di demolizione del manufatto abusivo.
Ritiene, infatti, il collegio, in conformità ad un orientamento già espresso sia da questa sezione (sent. 609/06) che anche dalla seconda sezione di questo tribunale, che nel sistema non sia rinvenibile alcuna norma dalla quale possa desumersi la necessità di reiterare l’ordine di demolizione già pronunciato, in caso di rigetto dell’istanza di sanatoria, incombenza che, peraltro, si rivelerebbe, in assenza di un'espressa previsione legislativa, un'inutile ed antieconomica duplicazione dell'agere amministrativo ( cfr. Tar Campania Sez. II n°10128/2004 e n.816/2005 )
Se è vero infatti che, in caso di accoglimento dell'istanza, l'ordine di demolizione viene inevitabilmente caducato a seguito del venir meno del suo presupposto, vale a dire del carattere abusivo dell'opera realizzata, in ragione dell'accertata conformità dell'intervento alla disciplina urbanistica ed edilizia, in caso di rigetto della sanatoria (tanto nell’ipotesi in cui l’istanza di sanatoria sia rigettata espressamente o che, decorsi inutilmente 60 giorni, mediante la formazione del silenzio-diniego di cui al comma 3 del citato art. 36) non vi è alcuna ragione per imporre alla amministrazione di emanare un nuovo provvedimento sanzionatorio, atteso che il provvedimento di demolizione costituisce un atto vincolato adottato in esito ad un procedimento amministrativo sul quale non interferisce l'eventuale conclusione negativa del procedimento ad istanza di parte ex art. 36 D.P.R. 380/2001, trattandosi di procedimento del tutto autonomo.
L’unico effetto determinato dalla proposizione della domanda di sanatoria sul procedimento sanzionatorio in corso è la temporanea sospensione degli effetti dell’ordine di demolizione, al fine di evitare che la demolizione dell’opera venga eseguita nel corso del procedimento di accertamento di conformità urbanistica.
Tuttavia, una volta conclusosi negativamente tale procedimento, il provvedimento di demolizione riacquista automaticamente efficacia. Naturalmente, il termine concesso per l'esecuzione spontanea della demolizione deve decorrere, a questo punto, dal momento in cui il diniego di sanatoria perviene a conoscenza dell'interessato (che non può rimanere pregiudicato dall'avere esercitato una facoltà di legge, quale quella di chiedere l' accertamento di conformità urbanistica, e deve pertanto poter usufruire dell'intero termine a lui assegnato per adeguarsi all'ordine evitando così le conseguenze negative connesse alla mancata esecuzione dello stesso).
Ciò non toglie che possa essere riconosciuta l’improcedibilità del ricorso avverso l’ordinanza di demolizione sia nel caso in cui la domanda di sanatoria sia stata accolta sia nell’ipotesi in cui, a seguito del rigetto di detta istanza, sia stato emanato dalla amministrazione procedente un secondo provvedimento sanzionatorio. Intatti, in questo caso, è solo quest’ultimo provvedimento ad avere effetti lesivi della sfera giuridica del ricorrente, trattandosi di un provvedimento di conferma assunto all’esito di un ulteriore procedimento avviato dopo il rigetto dell’istanza di sanatoria (T.A.R. Campania, Sez. III, 2 marzo 2004, n. 2579).
Nel caso in esame, nessuna di queste ipotesi si è verificata, giacché la richiesta di concessione in sanatoria è stata rigettata.
I ricorsi devono, per questi motivi, essere esaminati nel merito e, in quanto infondati, devono essere respinti entrambi.

2.1. Con il primo motivo del ricorso n. 8751/2001, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della l. n. 47 del 1985 e dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990, eccesso di potere per sviamento perché l’amministrazione comunale, prima di ordinare la demolizione, avrebbe dovuto verificare se ricorrevano le condizioni ed i requisiti per il rilascio della concessione edilizia in sanatoria, peraltro richiesta in via cautelativa dal ricorrente. La doglianza va trattata congiuntamente a quella di cui al secondo motivo di ricorso, in quanto avente identico contenuto. Anche nel secondo motivo, infatti, il ricorrente lamenta che l’ordinanza impugnata è stata adottata senza valutare la possibilità di sanare la costruzione ai sensi degli strumenti urbanistici vigenti.
Le censure sono infondate.
L’art. 13 della l. n. 47 del 1985, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, prevede chiaramente che a valutazione di conformità agli strumenti urbanistici vigenti ai fini del rilascio della concessione edilizia in sanatoria va effettuata su specifico impulso di parte e non d’ufficio prima della adozione dell’ordine di demolizione. Anzi, lo stesso articolo 13 specifica la domanda deve essere proposta entro il termine assegnato per la demolizione ai sensi dell’art. 7 della l. n. 47 del 1985.
Nel caso in esame, tuttavia, l’istanza di concessione edilizia in sanatoria, cui il ricorrente ha fatto riferimento, è stata presentata in data 29.6.2001, e quindi dopo la notifica dell’ordinanza di demolizione, effettuata il 13.6.2001.
Sia il primo che il secondo motivo di ricorso, pertanto, devono essere respinti.

2.2. Con il terzo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della l. n. 47 del 1985, violazione del giusto procedimento di legge, eccesso di potere per genericità e perplessità perché il provvedimento impugnato avrebbe dovuto indicare le sanzioni cui la ricorrente andava incontro in caso di inottemperanza e in particolare la quantità di ara di sedime necessaria a realizzare opere analoghe a quelle realizzate dal ricorrente e non limitarsi ad una generica formulazione che prevede il ricorso alla procedura di acquisizione in caso di ottemperanza.
La doglianza è infondata.
Le sanzioni nonché le conseguenze derivanti dalla mancata ottemperanza all’ordine di demolizione sono previste dalla legge, pertanto, l’eventuale loro mancata indicazione non costituisce motivo di illegittimità, ma al più può integrare una mera irregolarità.
Nel caso di specie, tuttavia, l’ordinanza impugnata contiene l’esplicito l’avvertimento che, in caso di inottemperanza all’ordine di demolizione, le opere e l’area di sedime saranno acquisite ai sensi dell’art. 7, comma 4 della l. n. 47 del 1985. L’amministrazione ha pertanto assolto ai propri doveri di informazione, in quanto le particelle che saranno acquisite potranno essere indicate dettagliatamente con il successivo provvedimento di acquisizione.

2.3. Con il quarto motivo di ricorso, il ricorrente si duole della violazione della l. n. 1497 del 1939, della l. n. 431 del 1985, della l. n. 64 del 1974, della legge della regione Campania n. 9 del 1983, eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, motivazione carente o comunque incongrua e perplessa, poiché il lotto di terreno dove insistono i manufatti oggetto del provvedimento impugnato non risulta gravato da vincoli previsti dal p.r.g. e comunque di essi non è stata data alcuna dimostrazione.
Il motivo è infondato.
L’ordinanza di demolizione impugnata è motivata unicamente sull’assunto della effettuazione di lavori di costruzione senza la prescritta concessione edilizia comunale e non sulla violazione di norme relative a vincoli insistenti sull’area. Pertanto, in tale quadro, è sufficiente il mero richiamo, contenuto nel provvedimento impugnato, alle leggi n. 1497/39 e 431/85, trattandosi comunque di area sottoposta a vincolato paesaggistico, come rilevato dal verbale di sequestro della polizia municipale del 10.5.2001.

2.4. Con il quinto motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della l. n. 241 del 1990, eccesso di potere per sviamento della causa tipica, perché il provvedimento impugnato non ha considerato che il manufatto rustico era già esistente.
Il ricorrente, nella esposizione in fatto, ha riferito che quando aveva acquistato il fondo, su di esso insisteva già un fabbricato rurale adibito a deposito degli attrezzi. Il ricorrente ha quindi ammesso di aver edificato, in adiacenza a tale locale deposito, un prefabbricato.
Il provvedimento impugnato ha appunto ordinato la demolizione di tale prefabbricato, di un manufatto in muratura di blocchi lapillo cemento, posto sul confine ovest e di una recinzione. Non è invece stata menzionata la demolizione del rustico posto in adiacenza al prefabbricato.
La doglianza, pertanto, non può essere accolta.

2.5. In conclusione, dunque, il ricorso n. 8751/2001 deve essere respinto.

3.1. Con il ricorso n. 5983/2003, il ricorrente ha impugnato il rigetto della domanda di concessione in sanatoria, motivata in relazione all’eccedenza della cubatura realizzata rispetto a quella assentibile nella zona.
Con primo motivo di ricorso, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della l. n. 47 del 1985, art. 3 della l. n. 241 del 1990, art. 97 Cost. eccesso di potere per difetto e/o carenza di motivazione, sviamento perché il provvedimento di rigetto della concessione in sanatoria non indicherebbe le specifiche prescrizioni urbanistiche violate e perché non considererebbe il fatto che il manufatto è stato realizzato in parte prima del 1967 e pertanto esso sarebbe assentibile in sanatoria al di fuori dei parametri volumetrici vigenti.
La censura non può essere accolta.
Quanto alla mancata indicazione delle norme urbanistiche violate, rileva il collegio che le prescrizioni urbanistiche violate sono riportate dal provvedimento impugnato nel loro contenuto, pertanto è ininfluente il fatto che non ne siano stati citati gli estremi.
Per quanto attiene, invece, alla asserita mancata considerazione della preesistenza di parte del manufatto, rileva il collegio che il superamento dei limiti volumetrici vigenti impedisce comunque di consentire alla sanatoria delle nuove costruzioni, anche se esse sono state costruite in adiacenza a manufatti preesistenti.
Il motivo, pertanto, deve essere respinto.

3.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione della l. n. 47 del 1985, art. 3 della l. n. 241 del 1990, art. 7 della l. n. 212 del 2000, eccesso di potere per difetto di motivazione e carenza di istruttoria, poiché, a suo avviso, non si riuscirebbe a comprendere sia il percorso logico giuridico che la p.a. ha seguito nell’applicare i principi generali al caso concreto.
Il motivo è privo di fondamento.
La motivazione del provvedimento di rigetto della istanza di sanatoria è chiarissima: il lotto ha una superficie insufficiente rispetto alle prescrizioni per il lotto minimo (3.000 mq) per la zona “agricola 1” e inoltre la cubatura edificata eccede di ben otto volte quella assentibile nell’area.
La doglianza, quindi, deve essere respinta.

3.3. Con il terzo motivo, il ricorrente si duole della violazione della l. n. 47 del 1985, art. 3 della l. n. 241 del 1990, violazione della l. n. 1147 del 1939, della l. 1150 del 1942, della l. reg. campana n. 9 del 1983, eccesso di potere per difetto di motivazione e per carenza di istruttoria, perché l’amministrazione non ha accertato se il manufatto realizzato dal ricorrente deturpi o meno il bene paesaggistico tutelato, contrasti con i vincoli archeologici o con la normativa antisismica.
Il motivo è infondato.
Come si è già evidenziato al punto precedente, le ragioni per cui il provvedimento di sanatoria è stato negato sono esclusivamente di natura urbanistica, e cioè eccedenza della cubatura e non capienza del lotto. Il provvedimento impugnato non ha motivato il diniego in relazione a vincoli paesaggistici né archeologici e nemmeno alla violazione della normativa antisismica, pertanto, è inammissibile e comune non può essere accolta una censura volta a denunciare la carenza di istruttoria e di motivazione su tali profili.

3.4. Con il quarto motivo, il ricorrente ha dedotto la violazione della l. n. 47 del 1985, art. 3 della l. n. 241 del 1990, violazione della l. n. 1147 del 1939, della l. 1150 del 1942, della l. n. 493 del 1993, della l. reg. campana n. 10 del 1982, violazione del giusto procedimento, eccesso di potere per difetto di motivazione e carenza di istruttoria, genericità e perplessità, per mancanza del parere della commissione edilizia e del parere in materia ambientale.
Per quanto attiene alla denunciata carenza del parere della Commissione edilizia, essa non sussiste in quanto lo stesso provvedimento impugnato ha chiarito che nel comune di Pompei detta commissione non esiste e pertanto nessun parere doveva essere acquisito.
Infondata è anche la doglianza relativa mancata acquisizione del parere in materia paesistica ambientale da parte della Commissione edilizia integrata, in quanto, come si è detto anche nel precedente paragrafo e come si legge anche nello stesso provvedimento impugnato, il diniego di concessione in sanatoria si fonda unicamente su preliminari ed assorbenti ragioni di “ordine procedurale e strettamente urbanistico”.
Pertanto, l’acquisizione del parere paesaggistico ambientale, in questo caso, sarebbe stata completamente inutile, giacché anche ove fosse stata espressa una valutazione positiva, comunque il titolo edilizio in sanatoria non avrebbe potuto essere rilasciato per la carenza della conformità urbanistica. Il parere della commissione edilizia integrata, quindi, in questo caso, non doveva essere acquisito, giacché esso sarebbe stato comunque inutile.
Anche il quarto motivo deve dunque essere respinto.

3.5. Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione della l. n. 47 del 1985, della l. n. 1497 del 1939, del P.R.G. del 1958 eccesso di potere per travisamento dei fatti difetto di istruttoria, motivazione carente o comunque incongrua e perplessa, perché il manufatto in questione è stato costruito in aderenza ad un immobile preesistente all’anno 1967, al quale pertanto va applicata, ratione temporis, la precedente disciplina urbanistica del p.r.g. del 1958, in base alla quale non era previsto alcun lotto minimo e per il quale l’indice di edificabilità era pari a 0,30.
Tale prospettazione non è in alcun modo condivisibile.
Va in primo luogo rilevato che del tutto ininfluente appare, ai fini della identificazione della disciplina urbanistica cui fare riferimento, la circostanza che l’appartamento per il quale sia stata richiesta la sanatoria risulti essere stato edificato in aderenza ad un precedente manufatto.
Sarebbe infatti assurdo applicare, come vorrebbe il ricorrente, la disciplina vigente all’epoca della realizzazione del precedente manufatto anche alla nuova edificazione.
Inoltre, ai sensi dell’art. 13 della l. n. 47 del 1985, “il responsabile dell'abuso può ottenere la concessione o l'autorizzazione in sanatoria quando l'opera eseguita in assenza della concessione o l'autorizzazione è conforme agli strumenti urbanistici generali e di attuazione approvati e non in contrasto con quelli adottati sia al momento della realizzazione dell'opera, sia al momento della presentazione della domanda.”
La norma, dunque, richiede espressamente che la valutazione di conformità alla disciplina urbanistica debba essere effettuata con riferimento sia a quella vigente al momento della realizzazione delle opere abusive che al momento della presentazione della domanda.
Il motivo deve quindi essere respinto.
La doglianza va esaminata unitamente a quella dedotta con l’ottavo motivo, con cui il ricorrente si duole della violazione della l. n. 241 del 1990 eccesso di potere per sviamento dalla causa tipica, perché l’amministrazione non ha considerato la porzione di manufatto, di proprietà del ricorrente, già esistente anteriormente all’entrata in vigore del vigente strumento urbanistico, in quanto si tratta di questione sostanzialmente identica.
Anche questa censura, per le stesse ragioni sopra esposte, deve essere disattesa.


3.6. Con il sesto motivo di ricorso, il ricorrente si duole della violazione dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990, del principio di non contraddittorietà dei provvedimenti provenienti dalla medesima attività amministrativa, perché il comune di Pompei ha ritenuto irrilevanti i pareri in materia ambientale mentre in passato, nelle ordinanze di demolizione, aveva ritenuto violate le leggi di tutela ambientale.
Il motivo non può essere accolto.
Il rigetto di concessione edilizia in sanatoria, in questa sede censurato, è stato, come si è detto nei punt 3.3. e 3.4, motivato unicamente con riferimento alla carenza della conformità alle prescrizioni urbanistiche, ritenendo – correttamente – il comune che fosse superflua ogni ulteriore indagine in ordine alla compatibilità ambientale delle opere, in quanto comunque esse non sarebbero state suscettibili di sanatoria. Nessuna contraddittorietà nell’azione amministrativa dunque può ravvisarsi.
A ciò si aggiunga che comunque, come si è già rilevato in precedenza, al punto 2.3., nelle ordinanze di demolizione le leggi di tutela ambientale e paesaggistica sono soltanto citate ma il provvedimento sanzionatorio si fonda sulla mancanza del titolo edilizio.

3.7. Con il settimo motivo, il ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 7 della l. n. 241 del 1990, del giusto procedimento di legge ed eccesso di potere, per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento di diniego di rilascio della concessione in sanatoria.
La doglianza è infondata.
Va infatti sottolineato che trattandosi di procedimento che ha inizio ad istanza di parte, la comunicazione di avvio del procedimento all’epoca dei fatti non era dovuta. Tale obbligo, infatti, è stato introdotto anche per i procedimenti ad istanza di parte solo con le recenti modifiche del 2005 alla l. n. 241 del 1990.
In conclusione, entrambi i ricorsi in epigrafe devono essere respinti.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Terza Sezione di Napoli, riuniti i ricorsi in epigrafe, li respinge.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che liquida in complessivi 3.000 euro.
Così è deciso in Napoli, 26.10.2006
Il Presidente Ugo De Maio
Il referendario estensore Maria Laura Maddalena