Lexambiente - Rivista Trimestrale di Diritto Penale dell'Ambiente
Nell'area dedicata alla rivista è scaricabile l'ultimo fascicolo pubblicato
Lexambiente - Rivista Trimestrale di Diritto Penale dell'Ambiente
Nell'area dedicata alla rivista è scaricabile l'ultimo fascicolo pubblicato
Verso la positivizzazione di un nuovo diritto umano al clima stabile e sicuro? Prime riflessioni a caldo sulla sentenza della Corte CEDU del 9 aprile 2024.
di Antonietta LUPO
Consiglio di Stato Sez. VI n. 4298 del 14 maggio 2024
Danno ambientale.Principi generali e responsabilità
Il principio generale di diritto europeo che regola la materia della responsabilità per danno ambientale è quello “chi inquina paga”, espresso dal primo considerando della direttiva n. 2008/98/CE. Le coordinate esegetiche disegnate dal legislatore europeo e recepite dal legislatore interno si basano su criteri estremamente precisi, chiari e rigorosi nell’attribuzione della responsabilità per danno ambientale, e segnatamente: a) il quadro giuridico europeo risultante dai principi generali del Trattato e dal diritto derivato non esige lo stretto accertamento dell’elemento psicologico e del nesso di causalità fra la condotta di detenzione del rifiuto in ragione della disponibilità dell’area e il rischio ambientale dell’inquinamento; b) la normativa nazionale deve essere interpretata in chiave europea e in maniera compatibile con canoni di assoluto rigore a tutela dell’ambiente. La tutela dell’ambiente ruota intorno al fondamentale cardine della responsabilità del proprietario in chiave dinamica, ossia nel senso di ritenere responsabile degli oneri di bonifica e di riduzione in pristino anche il soggetto non direttamente responsabile della produzione del rifiuto, il quale sia tuttavia divenuto proprietario e detentore dell’area o del sito in cui è presente, per esservi stato in precedenza depositato, stoccato o anche semplicemente abbandonato, il rifiuto in questione. La responsabilità del proprietario del sito, in tal caso, non rinviene necessariamente la propria causa nel cd. fattore della produzione, bensì anche, eventualmente, in quello della detenzione o del possesso (corrispondenti, rispettivamente, al contenuto di un diritto personale o reale di godimento) dell’area sulla quale è oggettivamente presente il rifiuto, dal momento che grava su colui che è in relazione con la cosa l’obbligo di attivarsi per fare in modo che la cosa medesima non rappresenti più un danno o un pericolo di danno (o anche di aggravamento di un danno già prodotto). La responsabilità in questione è pur sempre ascrivibile secondo i canoni classici, comuni alle tradizioni costituzionali degli Stati, della responsabilità per il proprio fatto personale colpevole, dal momento che la personalità e la rimproverabilità dell’illecito risiedono nel comportamento del soggetto che volontariamente sceglie di sottrarsi o, il che è lo stesso, di non attivarsi anche per mera negligenza, per ripristinare l’ambiente; c) la responsabilità dell’autore materiale del fatto originario generatore del danno ambientale non costituisce un’esimente, né elide, tantomeno in via successiva, la responsabilità di coloro che divengono proprietari del bene o che vantano diritti o relazioni di fatto col bene medesimo
Cass. Sez. III n, 22298 del 4 giugno 2024 (UP 7 mag 2024)
Pres. Ramacci Rel. Di Stasi Ric. Picci
Ambiente in genere.Reato di occupazione arbitraria di bene demaniale marittimo
Il reato di occupazione arbitraria di bene demaniale marittimo consiste nell'acquisire e mantenere senza autorizzazione il possesso o la detenzione dello stesso in modo corrispondente all'esercizio non transeunte di un diritto di proprietà o di godimento, in maniera da impedirne la fruibilità da parte di potenziali utenti o da comprimerne in maniera significativa l'uso, in quanto il bene giuridico tutelato dalla norma è costituito dall'interesse della collettività di usare in maniera completa e in tutte le sue implicazioni il bene demaniale
Consiglio di Stato Sez. VI n. 4389 del 16 maggio 2024
Beni culturali.Autorizzazione monumentale e decadenza del titolo edilizio
I due atti di assenso, quello della Soprintendenza e quello edilizio, operano su piani diversi, essendo posti a tutela di interessi pubblici diversi, seppur parzialmente coincidenti. Ai sensi dall’art. 21, c. 4, D.Lgs. 42/2004, l’autorizzazione monumentale è riferita ad uno specifico intervento e non al titolo edilizio che ne assente l’esecuzione. La sua efficacia temporale, inoltre, è determinata in maniera autonoma rispetto a quella del permesso di costruire. L’art. 21, c. 5, infatti, prevede che “se i lavori non iniziano entro cinque anni dal rilascio dell'autorizzazione, il soprintendente può dettare prescrizioni ovvero integrare o variare quelle già date in relazione al mutare delle tecniche di conservazione”, mentre, ai sensi dell’art. 15, c. 2, del DPR 380/2001 “Il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata, non può superare tre anni dall'inizio dei lavori. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga”. Pertanto, ben può accadere che entro il quinquennio di efficacia dell’autorizzazione monumentale decada il titolo edilizio, senza che ciò produca alcuna conseguenza sulla validità dell’autorizzazione monumentale, non essendo stata prevista alcuna correlazione tra le due ipotesi dalla normativa vigente, in coerenza, peraltro, con i differenti profili di valutazione sottesi all’uno e all’altro provvedimento.
Cass. Sez. III n, 23392 del 11 giugno 2024 (UP 23 apr 2024)
Pres. Andreazza Rel. Noviello Ric. Moretti
Caccia e animali.Elemento della crudeltà
L’elemento della crudeltà, quale possibile parte integrante del fatto tipico dell’art. 544 ter comma 1 c.p. (che punisce chi cagiona ad animali una lesione o li sottopone a sevizie o comportamenti o fatiche o lavori insopportabili “per crudeltà o senza necessità”) si distingue dal diverso giudizio ostativo di crudeltà di cui all’art. 131 bis c.p., che può scaturire dalla complessiva e più ampia considerazione della intera vicenda, come emergente dalla istruttoria ovvero dagli atti disponibili ( a seconda del rito prescelto).
Consiglio di Stato Sez. IV n. 4405 del 17 maggio 2024
Urbanistica.Impianti distributori di carburanti
In materia di impianti distributori di carburanti, con il d.lgs. 11 febbraio 1998 n. 32 si è proceduto alla sostituzione del regime di concessione con quello di autorizzazione, in quanto ritenuto più idoneo a consentire il libero esercizio dell'attività di installazione e di gestione degli impianti sulla base della sola autorizzazione comunale subordinata esclusivamente alla verifica della conformità alle disposizioni del piano regolatore, alle prescrizioni fiscali e a quelle concernenti la sicurezza sanitaria, ambientale e stradale, alle disposizioni per la tutela dei beni storici e artistici, nonché alle norme di indirizzo programmatico delle regioni. Detto passaggio al regime autorizzatorio configura un potere conformativo di tipo particolare rispetto all'ambito esclusivamente urbanistico, essendo affidato ai Comuni il compito di definire i criteri, i requisiti e le caratteristiche delle aree su cui possono essere istallati gli impianti, con un apposito atto di raccordo con la disciplina urbanistica, in modo da consentire la razionalizzazione della rete di distribuzione e la semplificazione del procedimento di autorizzazione di nuovi impianti su aree private. Al riguardo il d.lgs. 32/1998 pone due principi: il primo, che è contenuto nell’art. 1, comma 2, per cui l'autorizzazione all’esercizio dell’impianto di carburante è subordinata esclusivamente alla verifica della conformità alle disposizioni del piano regolatore, alle prescrizioni fiscali e a quelle concernenti la sicurezza sanitaria, ambientale e stradale, alle disposizioni per la tutela dei beni storici e artistici, nonché alle norme di indirizzo programmatico delle Regioni; il secondo (art. 2, comma 1 -bis) per cui la localizzazione degli impianti di carburanti costituisce un mero adeguamento degli strumenti urbanistici in tutte le zone e sottozone del piano regolatore generale non sottoposte a particolari vincoli paesaggistici, ambientali ovvero monumentali e non comprese nelle zone territoriali omogenee A. Quanto a questa seconda disposizione (art. 2, comma 1 - bis, d.lgs. 32/1998) occorre premettere che il mero adeguamento cui fa riferimento la disposizione sta ad intendere che trattasi di una modifica degli strumenti di pianificazione che non richiede la procedura della variante. L'art. 2, comma 1 - bis, d.lgs. 32/1998 va interpretato nel senso che consente la localizzazione e l'installazione degli impianti di distribuzione di carburante in ogni zona del territorio comunale senza necessità di ricorrere ad apposite procedure di variante, ma ciò non impedisce ai Comuni di opporre alla presentazione delle istanze tese alla installazione di impianti di carburanti, in una zona diversa da quella di tipo A, l'incompatibilità dell'intervento con le disposizioni edilizie del piano regolatore, le prescrizioni concernenti la sicurezza sanitaria, ambientale e stradale, le disposizioni per la tutela dei beni storici e artistici, nonché le norme di indirizzo programmatico delle Regioni.
Pagina 24 di 578