Cass. Sez. III n. 12998 del 5 aprile 2012 (Ud. 22 feb. 2012)
Pres. Petti Est. Amoresano Ric. PM in proc. Francalanci ed altro
Acque. Disciplina delle acque pubbliche
La disciplina delle acque pubbliche, quale risulta prima dalla L. 5 gennaio 1994 n. 36 e nel DPR 238/2999 (regolamento recante norme per l'attuazione di alcune disposizioni della predetta legge 36/1994) e poi dal D.Lgs. 152/2006, è indubbiamente innovativa poiché le "definizioni" riportate, indiscutibilmente, non fanno più riferimento alle "caratteristiche" delle acque pubbliche di cui all'art. 1 R.D,1775/1933, non richiedendosi più che esse, per la loro portata o per l'ampiezza del loro bacino imbrifero, abbiano od acquistino attitudine ad usi di pubblico generale interesse, Bisogna, però, considerare che la nuova normativa prevede anche che le acque costituiscono una risorsa che va tutelata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà: qualsiasi loro uso è effettuato salvaguardando le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale (art.144 comma 2 D.L.vo 152/06 e, negli stessi termini, art.1 commi 1 e 2 L.36/94). E proprio sotto il profilo di tale tutela ambientale gli artt.76 e 77 del medesimo D.L.vo 152/06 introducono dei limiti in relazione alla capacità dei corpi idrici e quindi alla significatività degli stessi (vale a dire l'attitudine ad usi di pubblico generale interesse).
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. PETTI Ciro - Presidente - del 22/02/2012
Dott. GRILLO Renato - Consigliere - SENTENZA
Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere - N. 441
Dott. MARINI Luigi - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere - N. 9757/2011
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
P.M. presso Tribunale di Firenze;
avverso l'ordinanza dell'11.2.2011 del Tribunale di Firenze;
nei confronti di:
1) Francalanci Luigi nato il 18.5.1950;
2) Comune di Firenze;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Silvio Amoresano;
sentite le conclusioni del P.G., Dott. Cesqui Elisabetta, che ha chiesto annullarsi con rinvio l'ordinanza impugnata;
sentito il difensore, avv. Fabio Azzaroli anche in sostituzione dell'avv. Daiana Bernardini, che ha chiesto dichiararsi la inammissibilità o, in subordine, rigettarsi il ricorso del P.M.. OSSERVA
1) Con ordinanza in data 11.2.2011 il Tribunale di Firenze, in accoglimento della richiesta di riesame proposta da Francalanci Luigi e dal Comune di Firenze, annullava il provvedimento con cui il GIP del Tribunale di Firenze aveva disposto il sequestro dell'immobile sito in Firenze viale Michelangelo n.64 in area distinta in catasto al foglio di mappa 123 particella 38, ordinando l'immediata restituzione dell'immobile al Comune di Firenze. Premetteva il Tribunale che il sequestro era stato disposto ipotizzandosi a carico degli indagati, Francalanci Luigi, quale dirigente servizio impianti sportivi del Comune di Firenze e committente dei lavori. Berti Riccardo, quale progettista e direttore dei lavori, Randellini Francesco, quale rappresentante legale dell'impresa appaltatrice ed esecutrice dei lavori, i reati di cui al R.D. n. 523 del 1904, artt. 93 e 96, art. 633 c.p., D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b) per aver realizzato una palazzina avente destinazione prevista a uffici amministrativi, direzionali, spogliatoi e locali per l'esercizio dell'atletica in area di inedificabilità assoluta rappresentata dalla fascia di rispetto di 10 metri del Fosso Gamberaia (corso d'acqua demaniale) e addirittura sopra lo stesso. Dopo aver ricordato che la Polizia Municipale di Firenze, nel corso dei sopralluoghi del 12 e 16 ottobre 2010, aveva accertato che nell'area oggetto di edificazione era presente il corso d'acqua Fosso Gamberaia, tombinato, e dopo aver richiamato il decreto di sequestro preventivo che aveva ritenuto sussistente il fumus dei reati ipotizzati, stante la natura demaniale del medesimo corso d'acqua, riteneva il Tribunale fondati i ricorsi presentati dagli indagati.
Dalla documentazione prodotta risultava, infatti, che il Fosso Gamberaia non aveva (più) le caratteristiche di un corso d'acqua naturale, dal momento che esso fin dagli anni 1920-1930 era stato completamente intubato ed interrato. Non poteva, pertanto, applicarsi il R.D. n. 523 del 1904 che prevede il divieto di edificazione a tutela degli alvei e delle loro sponde e difese. Risultava chiaramente dagli atti che le urbanizzazioni eseguite nel tempo avevano determinato la scomparsa di quasi tutta la rete idrica superficiale compreso il fosso Gamberaia. Non sussistevano, pertanto, i reati ipotizzati.
2) Ricorre per cassazione il P.M. presso il Tribunale di Firenze. Dopo aver riepilogato la vicenda denuncia che il Tribunale è incorso in plurimi errori di diritto nell'interpretazione delle norme che disciplinano il regime dei corsi d'acqua. Richiamati gli artt. 822 e 823 c.c. in tema di demanialità e di condizioni giuridiche del demanio, deduce che il D.P.R. n. 238 del 1999. Regolamento recante norme per l'attuazione di talune disposizioni della L. 5 gennaio 1994, n. 36) abrogava il R.D. n. 1775 del 1933 ed all'art. 1 dava una definizione ampia e generale del demanio idrico ("Appartengono allo Stato e fanno parte del demanio idrico tutte le acque sotterranee e le acque superficiali anche raccolte in invasi e cisterne"). Il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 144 ha ribadito che tutte le acque superficiali e sotterrane, ancorché non estratte dal sottosuolo, appartengono al Demanio dello Stato. A partire quindi dall'entrata in vigore del D.P.R. n. 238 del 1999 risulta superato l'elenco delle acque di cui al R.D. n. 1775 del 1933 sia in relazione
all'applicazione del R.D. n. 523 del 1904 (applicabile ora a tutti i corsi d'acqua), sia in ordine agli eventuali dubbi sulla demanialità.
La copertura del Fosso Gamberaia, avvenuta prima dell'entrata in vigore del D.P.R. n. 238 del 1999 era legittima, non sussistendo i vincoli oggi esistenti. In ogni caso la non iscrizione negli elenchi delle acque pubbliche non determinava la non demanialità. Come accertato dalla p.m. il bacino del fosso Gamberaia ha un'estensione di circa 2 Km e recapita le sue acque in Arno all'altezza della Pescaia di San Nicolo, irrilevante è che nel corso degli anni esso abbia assunto anche le funzioni di drenaggio della acque meteoriche in ambito urbano (fognatura bianca). Il fosso Gamberaia è, quindi, un vero e proprio corso d'acqua che conserva le sue caratteristiche di appartenenza al demanio necessario dello Stato anche se fortemente antropizzato. E,secondo giurisprudenza del Tribunale Superiore della Acqueta natura demaniale e le tutele imposte dal R.D. n. 523 del 1904 si applicano anche ai fossi tombinati.
Sussistendo il fumus dei reati ipotizzati il provvedimento impugnato va annullato con ripristino del sequestro.
2.1) Con memoria del 15.9.2011 il difensore del Francalangi chiede dichiararsi l'inammissibilità del ricorso del P.M. per difetto del requisito di specificità dei motivi e per introduzione di argomenti di merito; deduce, inoltre, l'infondatezza del ricorso stante la valenza determinante del concetto di significatività di un corpo idrico ai fini dell'applicabilità del R.D. n. 523 del 1904. A sua volta il Comune di Firenze, in persona del Sindaco prò tempore, con memoria in data 15.9.2011, chiede dichiararsi l'inammissibilità del ricorso del P.M. per omessa indicazione degli specifici motivi di diritto e per aver dedotto questioni non proponibili in sede di legittimità.
3) Premesso che il ricorso deve ritenersi ammissibile, deducendo plurime e specifiche violazioni di legge, esso va accolto nei termini di seguito indicati.
3.1) Il R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775 definiva come pubbliche "tutte le acque sorgenti, fluenti e lacuali, anche se artificialmente estratte dal sottosuolo, sistemate o incrementate, le quali considerate sia isolatamente per la loro portata o per l'ampiezza del rispettivo bacino imbrifero, sia in relazione al sistema idrografico al quale appartengono, abbiano od acquistino attitudine ed usi di pubblico generale interesse" (comma 1) e prevedeva altresì la iscrizione delle acque pubbliche "a cura del Ministero dei lavori pubblici, distintamente per province, in elenchi da approvarsi per decreto reale, su proposta del Ministero dei Lavori pubblici, sentito il Consiglio dei lavori pubblici, previa la procedura da esperirsi nei modi indicati dal regolamento" (comma 2).
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, formatasi in ordine alla predetta normativa, perché potesse parlarsi di acque pubbliche era necessario che esse avessero attitudine ad usi di pubblico interesse, "quali la produzione, l'irrigazione, l'energia, la bonifica, la pesca e così via. Gli elementi rilevanti, indicati dalla legge, per accertare fa possibilità di utilizzazione pubblica sono quelli della portata delle acque, dell'ampiezza del bacino imbrifero, del sistema idrografico al quale appartengono" (cfr. Cass, civ. Sez. 1 n. 1014 del 15.3.1975). Sicché "Un piccolo corso d'acqua, per essere definito pubblico deve avere un minimo di consistenza onde possa, quanto meno, concorrere, con altri corsi d'acqua pubblica, a formare un coordinato sistema circolatorio delle acque ovvero partecipare, per suo concreto apporto, a un determinato bacino idrico. Non può pertanto, essere considerato tale un fossatello della lunghezza di poche decine di metri che, solo occasionalmente invaso dall'acqua, si disperde nel terreno dal quale l'acqua stessa viene interamente assorbita" (cfr. Cass. pen. sez. 3, 15.2.1974 n. 1508). Come evidenzia il P.M. ricorrente, la disciplina delle acque pubbliche, quale risulta prima ridia L. 5 gennaio 1994, n. 36 e nel D.P.R. n. 238 del 1999 (regolamento recante norme per l'attuazione di alcune disposizioni della predetta legge 36/1994) e poi de D.Lgs. n. 152 del 2006, è indubbiamente innovativa.
Secondo tale normativa, infatti, "appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico tutte le acque sotterranee o le acque superficiali anche raccolte in invasi o cisterne" (D.P.R. n. 238 del 1999, art. 1) ovvero "Tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, appartengono allo Stato" (D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 144).
Le "definizioni" sopra riportate, indiscutibilmente non fanno più riferimento alle "caratteristiche" delle acque pubbliche di cui al R.D. n. 1775 del 1933, art. 1, non richiedendosi più che esse, per la loro portata o per l'ampiezza del loro bacino imbrifero.., abbiano od acquistino attitudine ad usi di pubblico generale interesse. Bisogna, però, considerare che la nuova normativa prevede anche che "Le acque costituiscono una risorsa che va tutelata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà; qualsiasi loro uso è effettuato salvaguardando le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale" (D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 144, comma 2 e, negli stessi termini, L. n. 36 del 1994, art. 1, commi 1 e 2). E proprio sotto il profilo di tale tutela ambientale il D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 76 e 77 introducono dei limiti in relazione alla capacità dei corpi idrici e quindi alla significatività degli stessi (vale a dire l'attitudine ad usi di pubblico generale interesse).
Il problema del "significato" della portata innovativa della nuova normativa sopra richiamata è stato affrontato dalla giurisprudenza delle sezioni civili di questa Corte. Già con la sentenza a sezioni unite n. 507 del 27.7.1999, nel sottolineare che, a norma del R.D. n. 1775 del 1933, art. 1 i corsi d'acqua potevano essere classificati come pubblici soltanto se le acque avessero una concreta od anche potenziale attitudine a soddisfare un interesse generale pubblico che possa essere desunto dalla portata delle acque, dall'ampiezza del bacino imbrifero e dal sistema idrografico, si affermava che non rileva l'enunciazione di cui alla L. 5 gennaio 1994, n. 36, art. 1, comma 1, in quanto "tale enunciazione di principio generale e programmatico, secondo quanto ritenuto dal giudice delle leggi, ha avuto la funzione di spostare il baricentro del sistema delle acque pubbliche verso il regime di utilizzo, piuttosto che sul regime di proprietà (cfr. Corte Cost. n. 259 del 19.7.1996) e di conseguenza non può ad essa essere correlato un generalizzato assoggettamento al regime pubblicistico demaniale di ogni superficie su cui cadano o defluiscano acque meteoriche". La questione è stata ulteriormente approfondita dalla sentenza della sez. 1 civ. n.315 dell'11.1.2001, secondo cui la L. 5 gennaio 1994, n. 36, art. 1, comma 1, a termine del quale tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa che è salvaguardata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà, non ha introdotto un nuovo concetto di acque pubbliche, ma ha mantenuto fermo il requisito dell'interesse pubblico, come è fatto palese dal concetto di "utilizzazione secondo criteri di solidarietà", che presuppone comunque l'idoneità delle acque a soddisfare usi di pubblico generale interesse. Così ha stabilito la Corte Costituzionale che, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità Costituzionale, sollevata dal Tribunale Superiore delle acque pubbliche, di detta L. n. 36 del 1994, art. 1, comma 1 (sent. 259/1996), ha precisato come la dichiarazione di pubblicità di tutte le acque non debba indurre in equivoco, poiché l'interesse generale è alla base della qualificazione di pubblicità di un'acqua, intesa come risorsa suscettibile di uso previsto e consentito". Tali principi, in relazione ad una interpretazione della norma costituzionalmente orientata. Sono stati ribaditi anche di recente dalla sentenza della seconda sezione civile n. 9331 del 26.4.2011, secondo cui se una considerazione letterale della L. n. 36 del 1994, artt. 1 e 34 potrebbe indurre ad una conclusione drastica (secondo cui tutte le acque hanno natura pubblica), la lettura dell'intero dettato normativo consente di rilevare come non sia stato modificato il dettato del R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 1, mantenendo in realtà fermo il concetto secondo cui l'attitudine delle acque ad usi di pubblico generale interesse è elemento indefettibile a conferire la natura di acque pubbliche ad ogni specie di acqua". Si sottolinea, anzi, in proposito, che "una diverso interpretazione porterebbe all'assurdo di dover considerare pubblica anche l'acqua piovana raccoltasi in un avvallamento del terreno, attesa la onnicomprensività della dizione di cui alla L. del 1994...". A ben vedere lo stesso PM. ricorrente, che pur propone un interpretazione rigorosamente formale delle nuove norme, finisce poi, al fine di sostenere la illegittimità del provvedimento impugnato, per richiamare le "caratteristiche" del Fosso Gamberaia che farebbero dello stesso un corso d'acqua. Dopo aver ricordato che il fatto che il Fosso di Gamberaia sia un vero e proprio corso d'acqua va considerato non in funzione delle opere che intorno o su di esso insistono ma in ragione delle caratteristiche oggetti ve del bacino imbrifero, della portata etc..., richiama gli accertamenti della Polizia Idraulica (".. ha un'estensione di area 2 Km. e un dislivello di circa 100 m. e recapita le sue acque in Arno all'altezza della Pescaia di san Niccolo.."), cfr. pag. 5 ricorso, e sulla base di tali elementi assume che il "Fosso di Gamberaia è un vero e proprio corso d'acqua.." (pag. 6).
3.2) Non c'è dubbio che, a norma dell'art. 325 c.p.p., il ricorso per cassazione possa essere proposto soltanto per violazione di legge.
Secondo le sezioni unite di questa Corte (sentenza n. 2/2004. Terrazzi), nel concetto di violazione di legge può comprendersi la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente in quanto correlate all'inosservanza di precise norme processuali, quali ad esempio l'art. 125 c.p.p., che impone la motivazione anche per le ordinanze, ma non la manifesta illogicità della motivazione, che è prevista come autonomo mezzo di annullamento dall'art. 606 c.p.p., lett. e), ne' tantomeno il travisamento del fatto non risultante dal testo del provvedimento. Tali principi sono stati ulteriormente ribaditi dalle stesse sezioni unite con la sentenza n. 25932 del 29.5.2008 - Ivanov, secondo cui nella violazione di legge debbono intendersi compresi sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidonee a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice. Tanto premesso la motivazione dell'ordinanza impugnata, in ordine alle ragioni che escluderebbero le caratteristiche di "corso d'acqua" del Fosso Gamberaia, è meramente apparente ed apodittica. Dopo aver richiamato le deduzioni difensive, si limita, infatti, il Tribunale ad affermare che "Risulta dalla documentazione allegata dalla difesa che il Fosso Gamberaia non ha (più) le caratteristiche di un fosso d'acqua naturale, atteso che risulta fin dagli anni 1920/1930 completamente intubato ed interrato per più di 2 chilometri. Senza alcun accertamento (in base agli atti in suo possesso) in relazione alla idoneità a soddisfare un pubblico generale interesse, secondo l'interpretazione sopra evidenziata della normativa in vigore, fonda la sua decisione soltanto sulla circostanza che il Fosso è completamente "intubato ed interrato";
non tenendo conto, peraltro, della condivisibile giurisprudenza del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, richiamata anche dal P.M. ricorrente, secondo cui il R.D. 25 luglio 1904, n. 523, art. 96, lett. f), il quale stabilisce che i fabbricati non possono sorgere a distanza inferiore a dieci metri dal piede degli argini dei corsi d'acqua, è applicabile anche quando i corsi d'acqua siano stati coperti da una strada pubblica.." (cfr. sent. n. 30 del 3.4.1990). Quel che rileva, come si è visto, è l'attitudine a soddisfare pubblici interessi; tanto che "I divieti di edificazione sanciti dal R.D. 25 luglio 1904, n. 523, art. 96, informati alla ragione pubblicistica di assicurare la possibilità di sfruttamento delle acque demaniali ovvero di assicurare il libero deflusso delle acque scorrenti nei fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici, debbono ritenersi non operativi "quando risulta oggettivamente non sussistente una massa di acqua pubblica suscettibile di essere utilizzata ai predetti fini.." (cfr. Cass. civ. sez. un. n. 12271 del 5.7.2004).
3.3) L'ordinanza impugnata va, pertanto, annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Firenze. Il Giudice del rinvio, pur potendo, pervenire alle medesime conclusioni del provvedimento annullato, accerteranno, sulla base dei principi e dei rilievi sopra enunciati, se sussiste il "fumus" dei reati ipotizzati ed, eventualmente, il "periculum in mora" in ordine a delle opere che si assume già completate.
P.Q.M.
Annulla il provvedimento impugnato e rinvia al Tribunale di Firenze per nuovo esame.
Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2012.
Depositato in Cancelleria il 5 aprile 2012