Cass. Sez. III n.29231 del 7 agosto 2025 (UP 10 lug 2025)
Pres. Ramacci Est. Galanti Ric. Mannella
Rifiuti.Gestione discarica abusiva

Il concetto di gestione di una discarica abusiva deve essere inteso in senso ampio, comprensivo di qualsiasi contributo, sia attivo che passivo, diretto a realizzare od anche semplicemente a tollerare e mantenere il grave stato del fatto-reato, strutturalmente permanente. Di conseguenza, devono ritenersi sanzionate non solo le condotte di iniziale trasformazione di un sito a luogo adibito a discarica, ma anche tutte quelle che contribuiscano a mantenere tali, nel corso del tempo, le condizioni del sito stesso. Sicché più soggetti possono concorrere, a titolo di dolo o colpa, nella "gestione" di una discarica abusiva, quali i responsabili di imprese che smaltiscono rifiub propri, i responsabili di imprese che smaltiscono rifiuti di terzi, i trasportatori, i proprietari dell'area interessati, nonché i pubblici amministratori


PREMESSO IN FATTO 

1. Con sentenza in data 13/11/2024, la Corte di appello di Catanzaro confermava la sentenza del Tribunale di Vibo Valentia del 21/03/2024, che aveva condannato Mannella Giuseppe in ordine al reato di cui all'art. 256 d. Igs. 152/2006 alla pena mesi nove di arresto ed euro 10.500,00 di ammenda.
2. Avverso detta ordinanza propone ricorso il Mannella.
2.1. Con un primo motivo lamenta vizio di motivazione: la sentenza di appello è incorsa nel medesimo errore di valutazione della prima sentenza, laddove ha ritenuto il ricorrente l'unico responsabile della trasformazione dello stato dei luoghi, soprattutto alla luce del fatto che lo stesso era divenuto proprietario del sito da meno di 50 giorni.
Inoltre, già nell'atto di acquisto era evidenziata la sussistenza di una servitù di passaggio e quindi di una strada.
La sentenza omette di verificare quando e da chi sarebbe stato commesso il fatto di reato, né si confronta con la spiegazione alternativa fornita dalla difesa, altrettanto logica.
2.2. Con un secondo motivo vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all'articolo 131-bis cod. pen., negata alla luce della consistenza del materiale interrato, ma, anche qui, senza tenere conto delle doglianze difensive in ordine a chi avrebbe posto in essere la condotta.
2.3. Con un terzo motivo lamenta violazione dell'articolo 133 cod. pen. in riferimento al diniego della concessione delle pene sostitutiva della detenzione breve ex art. 20-bis cod. pen., avendo erroneamente ritenuto che la presenza di precedenti penali non potesse giustificare il diniego.
2.4. Con il quarto motivo lamenta vizio di motivazione della sentenza nella parte in cui ha respinto l'eccezione di illegittimità costituzionale dell'articolo 452-undecies cod. pen..
3. In data 2 luglio 2025 l'Avv. Giovanni Vecchio, per l'imputato, depositava memoria di replica in cui contestava le conclusioni del P.G. e insisteva per l'accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO 

1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il primo motivo è inammissibile in quanto propone una personale rivalutazione del compendio probatorio, non consentita in sede di legittimità.
Come noto, infatti, il ricorso per cassazione è inammissibile quando si fonda su motivi che postulano una non consentita rivalutazione delle prove, in quanto ciò esula dalle attribuzioni del giudice di legittimità, il quale deve limitarsi a verificare la correttezza giuridica e la logicità della motivazione adottata dai giudici di merito (v., ex multis, Sez. 6, n. 43139 del 19/09/2019, Sessa, n.m.).
2.1. Nel caso in esame, i giudici del merito hanno ritenuto provata - con valutazione in fatto insuscettibile di rivalutazione in sede di legittimità - la realizzazione di una discarica avente ad oggetto circa 30.000 mc, derivante dal progressivo smaltimento abusivo di rifiuti da demolizione, materiale plastico e ferroso, rifiuti vegetali e residui di asfalto, che occupava circa 4 ettari.
Tale motivazione fa buon governo dei principi espressi dalla Corte, secondo cui, in tema di reati ambientali, la contravvenzione di abbandono di rifiuti, di cui all'art. 256, comma 2, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, è configurabile nel solo caso di condotta estemporanea e meramente occasionale, che abbia ad oggetto quantitativi modesti, interessi aree non estese e non implichi attività di gestione dei rifiuti o ad esse prodromiche, essendo altrimenti configurabile la contravvenzione di discarica abusiva (Sez. 3, n. 33287 del 10/07/2024, Paparazzo, Rv. 286844 - 01).
2.2. Manifestamente infondata è poi la censura dell'essere o meno il ricorrente l'«esclusivo» responsabile del fatto illecito.
Essa, per un verso, non risulta dedotta con i motivi di appello, come ricapitolati della sentenza gravata (sull'obbligo di contestare a pena di inammissibilità tale riepilogo ove non conforme ai motivi di appello vedi, ex multis, Sez. 3, n. 11830 del 13/03/2024, Ciarella, n.m.; Sez. 3, n. 8657 del 15/02/2024, Immobile, n.m.; Sez. 3, n. 33415 del 19/05/2023, Lazzaro, n.m.; Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017, Ciccarelli, Rv. 270627 - 01; Sez. 2, n. 9028/2014 del 05/11/2013, Carrieri, Rv. 259066) Per altro verso, contrasta con la piana giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, n. 12159 del 15/12/2016, Messina, Rv. 270354 - 01), secondo cui «il concetto di gestione di una discarica abusiva ... [omissis] ... deve essere inteso in senso ampio, comprensivo di qualsiasi contributo, sia attivo che passivo, diretto a realizzare od anche semplicemente a tollerare e mantenere il grave stato del fatto-reato, strutturalmente permanente. Di conseguenza, devono ritenersi sanzionate non solo le condotte di iniziale trasformazione di un sito a luogo adibito a discarica, ma anche tutte quelle che contribuiscano a mantenere tali, nel corso del tempo, le condizioni del sito stesso. Sicché più soggetti possono concorrere, a titolo di dolo o colpa, nella "gestione" di una discarica abusiva, quali i responsabili di imprese che smaltiscono rifiub propri, i responsabili di imprese che smaltiscono rifiuti di terzi, i trasportatori, i proprietari dell'area interessati, nonché, per quel che rileva nella specie, i pubblici amministratori (Sez. 3, n. 163 del 04/11/1994, dep. 13/01/1995, Zagni, Rv. 200961)».
3. La seconda doglianza è manifestamente inammissibile.
La sentenza gravata fa buon governo dei principi stabiliti da questa corte, secondo cui «ai fini del riconoscimento della causa di esclusione della punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen. non è sufficiente che il fatto sia occasionale, ma è necessario che l'offesa, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'art. 133, comma primo, sia ritenuta di particolare tenuità» (Sez. 3, n. 50782 del 26/09/2019, Bordoni, Rv. 277674 - 01).
Nel caso di specie, la sentenza gravata, a pagina 5, ha ritenuto - con giudizio in fatto sempre insuscettibile di sindacato in questa sede - che il fatto non possa considerarsi di particolare tenuità in ragione del quantitativo considerevole di rifiuti interrati, della loro eterogeneità, della 3 sussistenza del vincolo paesaggistico e del conseguente pericolo per l'ambiente, ciò che impedisce la valorizzazione dell'elemento della non abitualità del comportamento.
La censura, che con tale motivazione non si confronta criticamente, è quindi generica.
4. La terza doglianza, relativa alle pene sostitutive, è inammissibile.
La richiesta di applicazione di una pena sostitutiva è stata rigettata dai giudici di appello in considerazione della presenza di precedenti definitivi per delitti contro la pubblica amministrazione nonché in materia di armi, elementi che non consentirebbero una prognosi positiva in ordine all'adempimento delle prescrizioni.
Sul punto il Collegio evidenzia che, nel breve periodo di vigenza della c.d. "Legge Cartabia" (che ha trasformato le «sanzioni sostitutive» di cui alla legge n. 689/1981 in «pene sostitutive», incluse nel catalogo del codice penale all'articolo 20-bis), la giurisprudenza di legittimità ha fornito dei primi importanti chiarimenti interpretativi.
Va preliminarmente evidenziato che la sussistenza di un potere discrezionale del giudice sia nella scelta della pena da sostituire che della possibilità stessa di disporre la sostituzione è chiaramente e programmaticamente indicata dall'articolo 53 I. 689/1981, il quale prevede che egli, nel determinare la pena (ai sensi dell'articolo 133 cod. pen.) entro i limiti ivi previsti (quattro anni per la semilibertà o la detenzione domiciliare; tre anni per il lavoro di pubblica utilità; un anno per sostituirla altresì con la pena pecuniaria), «può» sostituirla con la pena sostitutiva opportuna.
In proposito, questa Corte ha affermato che «il giudice, anche a seguito delle modifiche introdotte dal d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, è vincolato nell'esercizio del suo potere discrezionale alla valutazione dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen., sicché il suo giudizio, se sul punto adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità» (Sez. 3, n. 9708 del 16/02/2024, Tornese, Rv. 286031 - 01).
Il successivo articolo 58 (significativamente intitolato «potere discrezionale del giudice nell'applicazione e nella scelta delle pene sostitutive»), richiamati i parametri dettati dall'art. 133 cod. pen., ribadisce che il giudice «può» applicare le pene sostitutive, in presenza di una duplice condizione positiva e in assenza di una condizione ostativa: quando le pene sostitutive risultano «più idonee alla rieducazione del condannato» e quando, anche attraverso opportune prescrizioni, «assicurano la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati».
Come è stato osservato (v. Sez. 2, n. 8794 del 14/02/2024, Pesce, Rv. 286006 - 02), il giudice deve applicare i criteri di cui all'articolo 133 cod. pen. per due volte: la prima, nell'individuare la quantità di pena detentiva da irrogare; le seconda, ai fini dell'individuazione della pena sostitutiva da applicare.
La pena detentiva, tuttavia, non può essere sostituita «quando sussistono fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato».
4 La Corte ha ritenuto, in una pronuncia, che il giudice, in caso di diniego della sostituzione della pena detentiva, non può limitarsi a valutare la congruità della pena attraverso i criteri di gravità del fatto e di pericolosità del soggetto, ma è tenuto anche a motivare, in chiave prognostica, le ragioni per cui gli elementi considerati rendono la pena sostitutiva inidonea a raggiungere la finalità rieducativa (Sez. 5, n. 39162 del 04/10/2024, F., Rv. 287062 - 01).
Altro arresto ha ritenuto che, ai fini della prognosi negativa di cui all'art. 58, legge 24 novembre 1981, n. 689, è necessario che il giudice di merito non si limiti ad indicare il fattore cui abbia attribuito valenza ostativa alla sostituzione, ma correli tale elemento al contenuto della specifica sanzione sostitutiva invocata o, comunque, presa in considerazione in sentenza, fornendo adeguata motivazione in ordine alla sua negativa incidenza sull'adempimento delle prescrizioni che ad essa ineriscono (Sez. 6, n. 40433 del 19/09/2023, Diagne, Rv. 285295 - 01).
L'art. 59, dal canto suo, detta le «esclusioni soggettive» per la sostituzione della pena detentiva, stabilendo che essa non sia applicabile nei confronti di chi:
- ha commesso il reato per cui si procede entro tre anni dalla revoca della sanzione sostitutiva o durante l'esecuzione della stessa;
- deve essere sottoposto a misura di sicurezza personale;
- risulta condannato per uno dei reati di cui all'art. 4-bis della legge sull'ordinamento penitenziario.
Tirando le fila di quanto esposto, il Collegio evidenzia come, nel processo di sentencing delineato dal legislatore, il giudice esercita il proprio potere discrezionale (il cui esercizio è sempre ancorato all'utilizzo dei criteri di cui all'articolo 133 cod. pen.) secondo una scansione logica «a scalare»:
a. in primo luogo, determina la quantità di pena detentiva da irrogare e, quindi, il tipo o i tipi di pena sostitutiva concretamente applicabile;
b. in secondo luogo, verifica (in negativo) l'insussistenza di condizioni soggettive ostative «assolute» di cui all'articolo 59 I. 689/1981;
c. in terzo luogo, verifica (in positivo) che le pene sostitutive concretamente applicabili assicurino la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati; in caso di pluralità di pene sostitutive applicabili, tale valutazione dovrà essere compiuta in riferimento a quella richiesta dall'imputato o, in assenza di specifica richiesta, a quelle ritenute astrattamente applicabili dal giudice.
d. solo in esito a tale duplice verifica, determina quale sia la pena sostitutiva applicabile al caso concreto, in ragione del percorso rieducativo del condannato, impartendo, ove lo ritenga necessario, le dovute prescrizioni;
e. da ultimo verifica, quale operazione di chiusura del percorso logico di sentencing, che non sussistano fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato.
Nel caso in esame, la Corte di appello ha ritenuto di non applicare le pene sostitutive non già in ragione della mera presenza di precedenti penali (in materia di armi e per delitti contro la 5 p.a.) ma in ragione del fatto che, proprio quei gravi precedenti, impediscono di formulare una prognosi positiva in relazione all'adempimento delle prescrizioni.
Il ricorso difetta di specificità laddove neppure indica quali positivi elementi di valutazione la Corte territoriale avrebbe dovuto valorizzare a fronte della presenza di reiterati e gravi precedenti, nella valutazione prognostica sull'adempimento delle prescrizioni imposte, risultando di tal guisa generico e inammissibile.
5. Il quarto motivo è inammissibile.
Ed infatti, a pagina 2 della sentenza si dà atto solo (il corsivo è del Collegio) della «volontà, seppur tardiva, dell'imputato di bonificare l'area» e non anche dell'avere provveduto (ed efficacemente) alla messa in sicurezza e bonifica dell'area, come previsto dall'articolo 452- undecies, quarto comma, cod. pen., circostanza che rende inammissibile la censura per assenza dei presupposti di fatto per potere, in linea astratta, beneficiare dell'istituto.
6. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Alla declaratoria dell'inammissibilità consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale é rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, che il Collegio ritiene di fissare, equitativamente, in euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 10/07/2025.