Il nuovo statuto delle terre e rocce da scavo
di Pasquale GIAMPIETRO
A partire da 6 ottobre prossimo, con l’entrata in vigore del decreto n. 161 del Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, del 10 agosto scorso (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 221 del 21 9. 2012), la disciplina per l’utilizzazione delle “terre e rocce da scavo”, prevista dall’art. 186, del T.U. ambientale n. 152/2006, sarà abrogata e sostituita da quella introdotta dal nuovo regolamento.
Se la “finalità” del Governo è quella, dichiarata, di potenziare l’uso delle risorse naturali (i materiali da scavo vanno a sostituire i materiali di cava) e prevenire, al contempo, la produzione dei rifiuti (v. art. 2). L’esigenza più impellente era ed è costituita dalle necessità economico-finanziaria e occupazionali di agevolare e stimolare la realizzazione di grandi “opere” pubbliche e private (gallerie, dighe, strade, autostrade, rimozione e livellamenti di opere in terra, ecc.) - che comportano scavi (per sbancamenti, fondazioni, trincee, perforazioni, trivellazioni, escavazione negli alvei, ecc.). La modalità seguita è stata quella di qualificare “i materiali da scavo”, derivanti dall’esecuzione di queste “opere” o “attività”, non più come rifiuti (con i connessi oneri burocratici, economici e sanzionatori…) ma “sottoprodotti”, nella ricorrenza di determinate ”condizioni”, previste dall’art. 184 bis del T.U. cit., e “criteri qualitativi” (imposti, ex novo, dal regolamento ex art. 4).
Va riconosciuta a titolo di merito del nuovo provvedimento, l’utilità di inserire, nell’art. 1, alcune “definizioni” fondamentali delle nozioni giuridiche impiegate volte a limitare, in anticipo, qualsiasi arbitraria o forzata interpretazione del testo. Dal loro stesso tenore traspare palesemente la volontà del Governo di allargare gli spazi delle “terre e rocce-sottoprodotto”, a partire dalla nozione di:
-“opera” (dalla cui esecuzione si ricavano le terre e rocce) come “risultato di un insieme di lavori” che ricomprendono, ben oltre alla demolizione, costruzione, ecc. anche il recupero, la ristrutturazione, il restauro, la manutenzione, ecc., a condizione che “l’opera di per sé esplichi una funzione economica o tecnica”;
- “materiale da scavo”, comprensivo non solo del “suolo o sottosuolo” ma anche del materiale “di riporto”, di materiali litoidi in genere, di residui di lavorazione di materiali lapidei, anche non connessi alla realizzazione dell’opera, e, sempreché la composizione media dell'intera massa non presenti concentrazioni di inquinanti superiori ai limiti massimi previsti dal regolamento, anche calcestruzzo, bentonite, polivinilcloruro (PVC), vetroresina, miscele cementizie e additivi per scavo meccanizzato. Risultano esplicitamente esclusi, ex art. 3, i rifiuti provenienti direttamente dall'esecuzione di interventi di demolizione di edifici o altri manufatti preesistenti, la cui gestione ricade nell’area dei rifiuti;
- “materiale di riporto" (ammesso nelle terre e rocce), definito come “un orizzonte stratigrafico costituito da una miscela eterogenea di materiali di origine antropica e suolo/sottosuolo” (cfr. l'allegato 9);
- “sito”, il luogo dove avviene lo scavo o l’utilizzo del materiale (compreso il riporto), comprensivo di quello di “produzione” (delle terre e rocce), di “destinazione” (o utilizzo), di “deposito intermedio” (ovviamente diverso dal sito di produzione), dove il materiale da scavo è temporaneamente depositato, in attesa del suo trasferimento a destinazione (la cui durata non può superare quella del Piano di Utilizzo, e dunque può essere superiore a un anno : v. art. 10, comma 4);
- “normale pratica industriale”. Questa “condizione”, introdotta dall’art. 184bis, comma 1, lett. c), cit., per “i trattamenti” ammessi e compatibili con la nozione di sottoprodotto, viene allargata sino a ricomprendere, pur a fronte di indirizzi più restrittivi della Cassazione penale, la selezione granulometrica del materiale da scavo; la riduzione volumetrica mediante macinazione; la stabilizzazione a calce, a cemento o altra forma idoneamente sperimentata; la stesa al suolo per consentire l'asciugatura e la maturazione del materiale da scavo; la riduzione della presenza, nel materiale da scavo, degli elementi/materiali antropici (ivi inclusi, a titolo esemplificativo, frammenti di vetroresina, cementiti, bentoniti), eseguita a mano o con mezzi meccanici, ecc. Non può sfuggire che tale estensione assuma un valore ermeneutico assai rilevante, per l’autorevolezza della fonte governativa, nel momento in cui cade su una “condizione” dell’art. 184bis testualmente riferibile a qualsiasi materiale o sostanza (diversa dalle terre e rocce) potenzialmente qualificabile come “sottoprodotto”.
Un ruolo centrale della disciplina di liberalizzazione del materiale da scavo è riservato al Piano di Utilizzo (art. 5 ed Allegato 5) di cui si regola la formazione, il contenuto, le procedure di approvazione e di modifica (art. 8) nonché la durata, l’efficacia, il rinnovo, l’assenza in caso di stato di emergenza (art. 6), la tempistica per l’inizio lavori ecc. (v. gli artt. 5 -10). In questa sede, ci si limita a segnalare due profili salienti.
Il Piano rappresenta il documento destinato a garantire il rispetto di tutte le condizioni e i requisiti che il materiale da scavo deve possedere per guadagnarsi la qualifica di sottoprodotto. Il suo utilizzo deve pertanto avvenire nello scrupoloso rispetto di tutte prescrizioni e degli obblighi previsti dal Piano: 1) nel corso dell’esecuzione dell’opera nella quale è stato generato; 2) ovvero di un’opera diversa (rinterri, riempimenti, rimodellazioni, rilevati ecc.); 3) oppure in distinti processi produttivi, in sostituzione dei materiali di cava. L’avvenuto utilizzo del materiale escavato in conformità al Piano deve essere attestata dall’esecutore, responsabile di tale adempimento (ex art. 9, comma 2), all’autorità competente, mediante una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà ( All. 7 e art. 12). Il secondo profilo attiene alla severità con cui il Governo ha inteso “sanzionare” le inosservanze indiscriminate di tutte le prescrizioni introdotte (e dunque anche del Piano di Utilizzo): “... In caso di inottemperanza alla corretta gestione dei materiali di scavo secondo quanto disposto dal presente regolamento il materiale scavato verrà considerato rifiuto" (v. art. 15, comma 3).
Questa previsione, per la sua genericità, suscita seri dubbi di legittimità in quanto la norma primaria che conferiva al Governo la potestà di dare attuazione al comma 2, dell’art. 184bis, del T.U. cit. (sul sottoprodotto), con riferimento alle terre e rocce, previa abrogazione dell’art. 186 cit., limitava l’intervento dell’esecutivo all’adozione di “misure per stabilire criteri qualitativi o quantitativi da soddisfare affinché specifiche tipologie di sostanze od oggetti (come i materiali da scavo) siano considerati sottoprodotti e non rifiuti”. Ebbene, in tale ambito, assai ristretto (di integrazione e completamento delle quattro “condizioni” di legge), mentre non v’è dubbio che l’inosservanza del Regolamento (che introduce “i criteri qualitativi da soddisfare", ex art. 2,) comporta certamente la perdita (o il non acquisto) della qualifica di sottoprodotto. Altrettanto non può comminarsi, a mio avviso (perdita della qualifica), per la violazione di quelle diposizioni regolamentari che introducono, ex novo, obblighi e/o oneri del tutto formali, di tipo burocratico- procedimentali che non hanno nulla a che vedere con la qualità delle terre e rocce (che, in ipotesi hanno già raggiunto i requisiti del sottoprodotto, rispettando cioè le “condizioni” di legge e “i criteri qualitativi” introdotti dal regolamento).
Si pensi all’utilizzo del materiale da scavo a ridosso dell’avvenuta scadenza del Piano (v. art. 5, comma 7), alla tardiva dichiarazione di effettuato utilizzo (art. 12, comma 4); al luogo e ai tempi di conservazione della documentazione (ex art. 7), ecc. In queste ed altre previsioni, il regolamento sembra introdurre, indirettamente e surrettiziamente, nuove fattispecie di reato (di gestione abusiva di rifiuti) sol perché le modalità di gestione delle terre e rocce non rispettano delle prescrizioni puramente formali ed estrinseche che non incidono affatto sulla ricorrenza, in concreto, delle condizioni e dei “criteri qualitativi o quantitativi” richiesti dall’art. 184bis (che, in ipotesi, i materiali da scavo possiedono), con l’effetto, però, di far loro perdere la qualifica di sottoprodotto e di ricacciarli nell’area del rifiuto.
Pasquale Giampietro