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Tribunale di Sassari – Sez.penale ord. 29 marzo 2005
Ric. Mancini

Rifiuti – Sequestro preventivo – Pneumatici usati

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N.7/2005 Reg. Misure Cautelari Reali

N. 456/2005 R. G. notizie di reato P.M. c/o Tribunale di Tempio Pausania

N. 442/2005 G.I.P. del Tribunale di Tempio Pausania

 

TRIBUNALE DI SASSARI

*** Sezione penale ***

RIESAME CONTRO DECRETO DI SEQUESTRO PREVENTIVO

- articolo 324 c.p.p.-

Il Tribunale di Sassari, composto dai signori Magistrati:

1) Dr. Franco Pilo..………………………………………..Presidente

2) Dr. Guido Vecchione….…................................................Giudice

3) Dr. Giovanni Maria Delogu...............................................Giudice

Riunito in Camera di Consiglio per deliberare in ordine alla richiesta di riesame, presentata il 16 marzo 2005 (atti pervenuti il 17/3/2005), proposta dal difensore di Giovanni Maria Mancini, (nato a Olbia il 24.10.1965) indagato del reato punito e previsto dagli articoli 6, 1° comma, lettera m e 51, secondo comma, D. L.vo. 1997 n. 22, per aver, nella sua qualità di legale rappresentante della Pneus Mancini SNC, gestito e stoccato abusivamente 400 metri cubi di pneumatici, all’interno di due capannoni di 230 mq, senza alcuna autorizzazione.

ORDINANZA

Il G.I.P. del Tribunale di Tempio Pausania, con decreto del 1° marzo 2005, ha convalidato il sequestro preventivo effettuato dagli ufficiali di Polizia Giudiziaria, della locale Sezione di Polizia stradale, dell’area sita in Olbia, Località Sa Corroncedda, nella quale, all’interno di due capannoni di circa 230 metri quadri in totale, erano depositati circa 400 metri cubi di carcasse di pneumatici usati, di vario tipo, mentre circa venti metri cubi di materiale dello stesso genere era accatastato all’esterno.

L’estensore del provvedimento in riesame ha motivato il sequestro, ipotizzando, nei confronti dell’indagato, nella sua qualità di legale rappresentante della Pneus Mancini SNC, il reato punito e previsto dagli articoli 6, 1° comma, lettera m e 51, secondo comma, D. L.vo. 1997 n. 22, per aver gestito e stoccato abusivamente 400 metri cubi di pneumatici usati, da considerarsi rifiuti.

In ordine al pericolo, il GIP ha ritenuto che la libera disponibilità, da parte dell’indagato, dell’area in questione, da qualificarsi come cosa pertinente al reato, determinerebbe il rischio del protrarsi e dell’aggravamento del reato in contestazione.

Avverso il suddetto provvedimento, ha proposto riesame, dinanzi a questo Tribunale, il difensore del Mancini, chiedendo l’annullamento del provvedimento impugnato e la restituzione dell’area in sequestro, con riserva di motivi.

A sostegno del ricorso, il legale, all’udienza camerale ha depositato una memoria scritta nella quale ha eccepito che i pneumatici usati sottoposti a sequestro non costituirebbero rifiuti, essendo destinati alla vendita.

All’udienza fissata, del 29 marzo 2005, il P.M. e Mancini, pur regolarmente avvisati, non sono comparsi.

Era invece presente il difensore il quale ha prodotto documenti ed ha insistito nella domanda d’annullamento.

Al termine, il Collegio si è riservato di deliberare.

Tanto premesso, si reputa opportuno ricordare che, in questa sede del riesame, il Tribunale deve limitarsi a stabilire la sussistenza del "fumus commissi delicti" che peraltro - come affermato dalla Suprema Corte – è sufficiente sia costituito, per giustificare il sequestro preventivo, dalla sussistenza degli estremi della fattispecie illecita ipotizzata, mentre la verifica dell’antigiuridicità penale del fatto va compiuta su un piano di astrattezza, nel senso che essa non può investire la sussistenza in concreto dell’ipotesi criminosa, ma deve essere limitata alla configurazione del fatto come reato (cfr. Cass. Sez. V, 23 maggio 1992 n. 1064).

Orbene, si deve rimarcare che l’estensore del decreto impugnato ha adeguatamente descritto il reato ipotizzato, a carico dell’indagato, poiché, oltre ad indicare le norme incriminatici che si assumono violate, ha compiutamente descritto la condotta che il Mancini avrebbe concretamente posto in essere, nonché le fonti di prova dalle quali ha desunto tale proprio convincimento.

È altresì condivisibile, allo stato, la qualificazione giuridica attribuita alla condotta del Mancini, rilevato che la polizia giudiziaria ha accertato il superamento del limite quantitativo dei venti metri cubi di materiale, previsto dal numero 3 della lettera m del citato articolo 6 D.Lvo 22/1997, in armonia con l’insegnamenmto della Suprema Corte, secondo il quale, << in materia di deposito di rifiuti, perché un deposito possa dirsi controllato deve essere anche temporaneo, ossia deve rispettare tutte le condizioni imposte dall'art. 6, lett. m.) del D.Lgs. n. 22 del 1997, che esige il raggruppamento dei rifiuti, prima della raccolta, nel luogo della loro produzione ed il rigoroso controllo dei tempi di giacenza, in ragione della natura e dei quantitativi; in difetto di uno di tali requisiti, il deposito è incontrollato ed il fatto integra il reato di cui all'art. 51 comma secondo del citato decreto >> ( cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 37879 del 22/6/2004 Ud. -dep. 24/9/2004 Pres. Papadia Est. De Maio ).

La difesa ha tuttavia sostenuto che, nel caso in esame, i pneumatici stoccati dal Mancini non costituirebbero rifiuti, giacché non erano destinati ad attività di smaltimento o recupero, bensì alla vendita ai numerosi clienti della società, della quale il Mancini è legale rappresentante.

Il difensore, oltre a documentare siffatta attività commerciale, ha espressamente richiamato l’articolo 14 del decreto legge 8 luglio 2002, n. 138, convertito in legge 8 agosto 2002, n. 178, il quale ha inteso fornire un’interpretazione autentica della nozione di rifiuto, sancendo, fra l’altro, che non potrebbe essere attribuita tale qualità al materiale destinato dal detentore alla riutilizzazione nello stesso, oppure in altro ciclo economico.

Orbene, senza voler anticipare valutazioni che saranno precipuo compito del giudice del merito, si deve rilevare che la questione deve essere considerata, alla luce della recente sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee, n.457 del 11/11/2004, la quale ha affrontato specificamente la compatibilità tra la normativa europea vigente in materia e la legge italiana citata dall’odierno ricorrente.

La Corte, in tale decisione, ha affermato, infatti, che in linea di principio, può ammettersi – come sostenuto dal governo italiano - << un'analisi secondo la quale un bene, un materiale o una materia prima derivante da un processo di fabbricazione o di estrazione che non è principalmente destinato a produrlo può costituire non un residuo, bensì un sottoprodotto, del quale l'impresa non ha intenzione di «disfarsi», ai sensi dell'art. 1, lett. a), primo comma, della direttiva 75/442, ma che essa intende sfruttare o commercializzare a condizioni per lei favorevoli, in un processo successivo, senza operare trasformazioni preliminari. Un'analisi del genere non contrasta infatti con le finalità della direttiva 75/442 in quanto non vi è alcuna giustificazione per assoggettare alle disposizioni di quest'ultima, che sono destinate a prevedere lo smaltimento o il recupero dei rifiuti, beni, materiali o materie prime che dal punto di vista economico hanno valore di prodotti, indipendentemente da qualsiasi trasformazione, e che, in quanto tali, sono soggetti alla normativa applicabile a tali prodotti (v. sentenza Palin Granit, cit., punti 34 e 35) >>.

La Corte, tuttavia, ha soggiunto che occorre tenere conto << dell'obbligo di interpretare in maniera estensiva la nozione di rifiuti, per limitare gli inconvenienti o i danni inerenti alla loro natura >> sicché deve ritenersi << ammesso, alla luce degli obiettivi della direttiva 75/442, qualificare un bene, un materiale o una materia prima derivante da un processo di fabbricazione o di estrazione che non è principalmente destinato a produrlo non come rifiuto, bensì come sottoprodotto di cui il detentore non desidera «disfarsi» ai sensi dell'art. 1, lett. a), primo comma, di tale direttiva, a condizione che il suo riutilizzo sia certo, senza trasformazione preliminare, e nel corso del processo di produzione (v. sentenza 11 settembre 2003, causa C114/01, AvestaPolarit Chrome, Racc. pag. I8725).>>.

La medesima Corte ha altresì chiarito che << quest'ultima analisi non è valida per quanto riguarda i residui di consumo, che non possono essere considerati «sottoprodotti» di un processo di fabbricazione o di estrazione idonei ad essere riutilizzati nel corso del processo produttivo>>.

Tornando a considerare il caso in esame, questo Tribunale rileva che, per quanto riguarda i pneumatici di seconda mano in sequestro, oltre a non essere certo, allo stato - nonostante le allegazioni della difesa - il loro integrale riutilizzo, si deve altresì osservare che gli stessi, anziché costituire un sottoprodotto del processo di produzione, rappresentano, piuttosto, dei residui di consumo, sicché deve essere affermata, in ogni caso, la loro natura di rifiuti, dovendosi interpretare la normativa italiana, secondo quanto sancito nella menzionata decisione, in armonia con la direttiva comunitaria vigente in materia.

Le osservazioni che precedono persuadono, quindi, a confermare il provvedimento di sequestro, oggetto di riesame.

Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Visto l’articolo 324 c.p.p., conferma il provvedimento impugnato e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Sassari, il 29 marzo 2005

Il Presidente

I Giudici