TAR Toscana, Sez. III n. 1614 del 16 ottobre 2012.
Urbanistica. Criteri per stabilire se l’intervento è variante alla concessione ovvero una nuova concessione edilizia.

Secondo il tradizionale orientamento giurisprudenziale per determinare il carattere essenziale o meno di una variante alla concessione edilizia, si deve avere riguardo al risultato complessivo dell’intervento costruttivo, non già esaminando l’intervento stesso nei suoi singoli elementi, ma valutando l’insieme delle modificazioni apportate al primitivo progetto. Per stabilire se si è di fronte ad una variante alla concessione ovvero ad una nuova concessione edilizia occorre far riferimento alle modifiche di carattere qualitativo o quantitativo apportate al progetto originario, in particolare, a quelle relative alla superficie coperta, al perimetro, alla volumetria ed alle caratteristiche funzionali e strutturali (interne ed esterne) dell'edificio. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

 

 

N. 01614/2012 REG.PROV.COLL.

N. 00222/2008 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 222 del 2008, integrato da motivi aggiunti, proposto da:

Soc. Albergo Sonia di Pagliari Licia & C. S.a.s., rappresentata e difesa dagli avv.ti Renzo Beccari e Carlo Andrea Gemignani, con domicilio eletto presso Emanuela Degl'Innocenti in Firenze, lungarno A. Vespucci n. 20;

contro

Comune di Forte dei Marmi, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Giuliano Turri e Natale Giallongo, ed elettivamente domiciliato presso il secondo in Firenze, via Vittorio Alfieri n. 19;

Comune di Forte dei Marmi, in persona del Dirigente del Settore Urbanistica p.t.;

Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Distr.le dello Stato di Firenze, presso i cui Uffici in Firenze, via degli Arazzieri n. 4, domicilia;

nei confronti di

Barberi Giuseppina, rappresentata e difesa dagli avv.ti Giancarlo Altavilla e Carmelo D'Antone, con domicilio eletto presso Andrea Cuccurullo in Firenze, lungarno A. Vespucci n. 20;

per l'annullamento,

previa sospensione dell’efficacia,

- del permesso di costruire n. 315 in data 17.10.2006, rilasciato dal Dirigente del Settore Urbanistica del Comune di Forte dei Marmi, avente ad oggetto lavori di "ampliamento per adeguamento funzionale e sopraelevazione di complesso alberghiero denominato "Meuble Moderno"” da eseguirsi su immobile posto in Forte dei Marmi, via Matteotti 44;

- dell'autorizzazione n. 228 del 2.12.2005 rilasciata, ai sensi dell'art. 159 del D. Lgs 22 gennaio 2004 n. 42, dal medesimo Dirigente per l'intervento sopra indicato, della quale si dà atto nel permesso di costruire n. 315/2006;

- della nota del Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Sopraintendenza di Lucca prot. n. 7544 del 9.6.2006;

- di ogni altro atto intervenuto nei procedimenti conclusi con i provvedimenti sopra richiamati (ivi compreso, per quanto occorrer possa, i pareri espressi dal Collegio Esperti Ambientali del Comune di Forte dei Marmi nelle sedute del 29.11.2005 e 27.7.2006), nonchè di ogni atto presupposto, successivo o comunque connesso;

nonché, a seguito di ricorso per motivi aggiunti, depositato il 28 luglio 2009,

per l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia:

- della determina prot. n. 2627 del 26.01.2009, con la quale il Dirigente del Settore Urbanistica del Comune di Forte dei Marmi, ha archiviato il procedimento di annullamento del permesso di costruire n. 315/2006 - avviato per omessa rappresentazione, negli elaborati grafici, del fabbricato adiacente posto sul confine lato monti -, e ritenuto di“procedere nell’iter della Variante”;

- del permesso di costruire n. 118 in data 08.05.2009, rilasciato dal Dirigente del Settore Urbanistica del Comune di Forte dei Marmi, avente ad oggetto “Variante al Permesso di Costruire n. 315 del 17.10.2006”, da eseguirsi su complesso alberghiero denominato “Meuble Moderno” posto in Forte dei Marmi, via Matteotti n. 44;

- dell’autorizzazione n. 33 del 17.02.2009 rilasciata, ai sensi dell’art. 159 del D.Lgs 22 gennaio 2004 n. 42, dal medesimo Dirigente per l’intervento sopra indicato, della quale si dà atto nel permesso di costruire n. 118/2009;

- della nota del Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Soprintendenza di Lucca e Massa Carrara, prot. n. 4269 del 26.03.2009;

- di ogni altro atto intervenuto nei procedimenti conclusi con i provvedimenti sopra richiamati (ivi compreso, per quanto occorrer possa, i pareri espressi dalla Commissione Comunale per il Paesaggio del Comune di Forte dei Marmi nella seduta n. 4 del 10.02.2009) e, comunque, di tutti quelli presupposti, connessi e/o consequenziali;

nonché, a seguito di ulteriore ricorso per motivi aggiunti, depositato il 23 luglio 2010, per l'annullamento:

- della denuncia di inizio attività prot. n. 2.101 del 15 aprile 2010, presentata da Barberi Giuseppina per la realizzazione di interventi edilizi consistenti nel “Completamento opere di cui al P.d.C. n. 315/2006 e succ. Variante P.d.C. n. 118/2009 e per opere interne”, aventi ad oggetto il fabbricato posto in Forte dei Marmi, Via Matteotti n. 44;

- di ogni altro atto intervenuto nel procedimento e, comunque, di tutti quelli presupposti, connessi e/o consequenziali;

 

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Forte dei Marmi, del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e di Barberi Giuseppina;

Viste le memorie difensive prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 ottobre 2011 il dott. Eleonora Di Santo e uditi per le parti i difensori C. A. Gemignani, G. Turri, M. Gambino avvocato dello Stato e G. Altavilla.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. In data 16 agosto 2005, la Sig.ra Barberi Giuseppina, odierna controinteressata, presentava istanza di permesso di costruire per l’esecuzione di lavori di ampliamento per adeguamento funzionale e sopraelevazione del complesso alberghiero denominato Hotel Meuble Moderno, sito in Forte dei Marmi, Via Matteotti n. 44, distinto in catasto al foglio 10, particelle 218 e 258.

Il progetto otteneva l’autorizzazione ambientale ex art. 159 del D. Lgs. 42/2004, parere favorevole della Soprintendenza ed infine parere favorevole del Collegio degli Esperti in materia paesistica e ambientale.

Il 17 ottobre 2006, il Comune rilasciava il permesso di costruire n. 315/2006, e gli interessati davano quindi inizio alle opere.

Il 26 novembre 2007, quando l’intervento era già in massima parte realizzato nelle volumetrie e nell’ingombro planivolumetrico, in relazione all’Hotel Moderno veniva presentato un progetto di variante in corso d’opera per“riduzione di volumetria, modifiche interne e centrale termica”.

Nelle more dell’istruttoria dell’istanza di variante, con l’atto introduttivo del presente giudizio la società Albergo Sonia, confinante sul lato nord con l’Hotel Moderno, impugnava il permesso di costruire n. 315/2006 contestando – in sostanza – l’ammissibilità dell’intervento alla luce dell’art. 13, punti 4 e 5, delle N.T.A. del P.d.R..

Inoltre, secondo la ricorrente, l’Amministrazione non avrebbe potuto assentire una sopraelevazione di tre piani, bensì di un solo piano fuori terra e, comunque, le opere eccederebbero quelle consentite dall’art. 13, punti 4 e 5, delle N.T.A..

Nelle more dell’istruttoria della variante, il Comune constatava l’omessa rappresentazione, negli elaborati grafici prodotti dall’Hotel Moderno a sostegno della domanda di permesso di costruire, di un manufatto esistente a monte del bene principale: difatti gli elaborati allegati al permesso n. 315/2006 rappresentavano, in loco, l’esistenza sul terreno dell’Albergo Sonia di una tettoia, mentre – nella realtà – sussisteva un vero e proprio immobile di maggiore consistenza e volumetria.

Di qui l’avvio del procedimento, con nota del 10 dicembre 2008, per (l’eventuale) annullamento del titolo abilitativo già adottato in ragione della inesatta rappresentazione dello stato dei luoghi.

In esito al contraddittorio procedimentale, l’Amministrazione comunale, preso atto delle controdeduzioni, con nota prot. n. 2627 del 26 gennaio 2009, riteneva non sussistessero i presupposti per l’annullamento del titolo e quindi archiviava il procedimento in autotutela.

Dopo l’archiviazione del procedimento in autotutela il Comune di Forte dei Marmi concludeva l’iter in variante e, pertanto, acquisiti i titoli paesaggistici, adottava il permesso di costruire n. 118 dell’8 maggio 2009.

L’odierna ricorrente, con ricorso per motivi aggiunti depositato il 28 luglio 2009, ha impugnato, quindi anche il permesso di costruire in variante n. 118/2009 ed i presupposti titoli paesaggistici, nonché la determinazione dirigenziale di archiviazione del procedimento di annullamento in autotutela del 26 gennaio 2009.

All’esito di un sopralluogo della Polizia municipale del 26 marzo 2010, il Comune constatava che la proprietà non aveva rispettato il termine di ultimazione delle opere che – tanto nel permesso di costruire n. 315/2006, quanto nella variante n. 118/2009 – era fissato per l’11 dicembre 2009 e, pertanto, ordinava la sospensione dei lavori ancora in corso (ordinanza n. 22 del 30 marzo 2010).

Il 15 aprile 2010 la proprietà presentava memorie difensive, a firma del progettista e del direttore dei lavori, nelle quali evidenziava che le opere realizzate successivamente al termine dell’11 dicembre 2009 attenevano unicamente alla finitura esterna dell’immobile e che, quindi, erano riconducibili tra gli interventi di manutenzione straordinariaex art. 79, comma 2, lett. b), l.r. Toscana 3 gennaio 2005, n. 1; in pari data, il privato presentava altresì la D.I.A. per la realizzazione dell’intervento di completamento (D.I.A. n. 2.101 del 15 aprile 2010).

Il Comune di Forte dei Marmi, anche alla luce del contraddittorio procedimentale, riteneva, da un lato, applicabile agli interventi successivi all’11 novembre 2009 la sola sanzione pecuniaria ex art. 135, comma 1, L.R.T. n. 1/2005 (provvedimento sanzionatorio n. 10/2010 del 12 maggio 2010) e, dall’altro lato, insussistenti i presupposti per inibire le opere di completamento oggetto della D.I.A. n. 2.101/2010.

L’odierna ricorrente impugnava, quindi, con un secondo ricorso per motivi aggiunti, depositato il 23 luglio 2010, la dichiarazione di inizio attività della controinteressata sul presupposto che, trovando quest’ultima fondamento nel permesso di costruire n. 315/2006 e nella successiva variante n.118/2008, parteciperebbe dei medesimi vizi già denunciati con i pregressi gravami.

2. Prima di passare all’esame delle censure dedotte con l’atto introduttivo del presente giudizio, occorre fare alcune puntualizzazioni.

Dal punto di vista urbanistico, l’Hotel Moderno e l’Albergo Sonia insistono in zona D, sottozona D5, la cui disciplina è contenuta nell’art. 13 delle N.T.A. della variante al regolamento urbanistico approvato con delibera C.C. n. 74 del 27 luglio 2005.

Ai fini di causa, la normativa di riferimento è in particolare quella contenuta nell’art. 13, p. 4), ove si legge che “la sottozona D5 turistico alberghiera è suddivisa in categorie di intervento in relazione al valore storico, architettonico e documentario degli immobili”.

E infatti, continua la norma, sugli edifici c.d. di antica formazione A2, di valore storico, architettonico e documentario (e tra questi vi è l’Albergo Sonia), si possono realizzare interventi di più ridotta dimensione, quali la manutenzione qualitativa e il rialzamento del sottotetto (a certe condizioni).

Su tutti gli altri (tra i quali l’Hotel Moderno, classificato di tipo A3) invece, la norma all’esame consente ben più corposi interventi di “manutenzione qualitativa, trasformazione, demolizione con fedele ricostruzione, ampliamento (anche in aderenza a pareti cieche esistenti a confine, limitatamente al tratto orizzontale in comune delle stesse) e sopraelevazione (nel caso di edifici in aderenza, anche oltre l’altezza del muro di confine) eseguito attraverso opere di parziale o totale demolizione e ricostruzione”.

Stabilisce l’art. 13, p. 4), che l’intervento di ampliamento e sopraelevazione può essere realizzato sul confine di proprietà, previo l’accordo tra i proprietari, e che, laddove sia teso all’adeguamento funzionale dell’albergo, deve riguardare: “le sale comuni, e quelle separate per lettura giochi etc., la superficie delle camere, i manufatti di servizio e la costruzione di un alloggio per il gestore”.

La norma all’esame intende, peraltro, incentivare gli ampliamenti e le sopraelevazioni a scopo di adeguamento funzionale dell’albergo, consentendo “un incremento una tantum della capacità ricettiva esistente, fino ad un massimo di dodici posti letto”.

L’adeguamento funzionale degli alberghi “non di pregio” tramite ampliamento e sopraelevazione, è oggetto, poi, di ulteriore disciplina al p. 5) dell’art. 13 delle N.T.A..

Ivi si legge che “gli interventi di adeguamento funzionale sono realizzati nel rispetto delle seguenti disposizioni: aumento di un solo piano fuori terra rispetto all’esistente e/o completamento dell’esistente sulla superficie coperta già realizzata e, comunque, senza superare il limite massimo di quattro piani fuori terra (h max 13,80);

“(…) limitatamente al centro di antica formazione, l’intervento di adeguamento funzionale può essere realizzato in deroga agli artt. 7, 8 e 9 del DM 1444/68; nelle altre zone esso è consentito mantenendo le preesistenti distanze da strade e confini di proprietà, fatti salvi i minimi previsti dal codice civile e comunque nel rispetto delle distanze tra pareti finestrate ai sensi del citato DM 1444/68”.

Ora, tutta la disciplina urbanistica fin qui ricostruita si completa, ai fini di quanto oggetto di causa, con la previsione di cui alla lett. d) del punto 7) dell’art. 13 N.T.A., ove si legge che “nella tavola del R.U. sono individuate con apposito simbolo grafico le zone di recupero del patrimonio edilizio alberghiero per le quali sono previste specifiche schede-norma di cui all’Allegato E delle nta del R.U.”.

E, nel citato Allegato E si legge che all’interno del R.U. sono individuate con apposito simbolo “R” le zone di recupero, sempre coincidenti con le unità minime di intervento (UMI) rappresentate dalle proprietà catastali dei singoli alberghi.

Fa eccezione alla detta regola della coincidenza tra le UMI e le proprietà catastali degli alberghi, l’Albergo Sonia, il quale è stato sottoposto ad una specifica disciplina di recupero, riferita ad una zona più ampia di quella su cui insiste.

Nel 2005, il Comune di Forte dei Marmi ha approvato il piano di recupero di alcuni alberghi appartenenti alla categoria di quelli di “antica formazione”, tra i quali l’Albergo Sonia.

Nella relazione illustrativa delle norme, si legge che “i piani di recupero in alcuni casi si sono resi necessari per consentire interventi in deroga al DM 1444/68 (in relazione alla deroga delle distanze tra pareti finestrate), per superare i limiti imposti dal RU in merito all’intervento su edifici classificati di valore storico, architettonico e/o documentario e sui giardini di valore”.

“(…) Le zone di recupero sono individuate ai sensi dell’art. 27 della L. 457/78. All’interno di tali zone gli interventi urbanistici ed edilizi sono subordinati alla formazione di specifici piani di recupero e, in tal senso, l’approvazione delle schede-norma costituisce piano di recupero ai sensi dell’art. 28 della citata legge 457/78. Le zone di recupero coincidono con unità minime di intervento che fanno capo alle proprietà catastali dei singoli alberghi. Unica eccezione è costituita dall’albergo denominato Sonia, il cui intervento per essere realizzato deve prevedere una deroga al DM 1444/68 sulla distanza tra pareti finestrate (è prevista la sopraelevazione di una terrazza praticabile posta sul retro del corpo principale dell’edificio). In questo caso, l’area del piano di recupero è stata estesa fino a comprendere una parte dell’isolato. All’interno di questa vasta area di recupero l’individuazione della UMI coincide con la definizione dalla RU; l’albergo Sonia (nell’ambito della vasta zona di recupero) è specificamente individuato e su di esso è stata applicata una propria normativa di recupero edilizio (a differenza degli altri immobili sui quali continua a valere la precedente normativa urbanistica che, per quei casi assume efficacia di Piano di recupero sempre ai sensi della già citata L. 457/78”.

In altri termini, poiché l’intervento dell’Albergo Sonia per poter essere realizzato imponeva la deroga al regime delle distanze del DM 1444/68 (rispetto all’antistante Hotel Moderno), il Comune di Forte dei Marmi ha esteso l’area soggetta al recupero (all’interno della quale è ammessa la deroga al DM), e cioè il perimetro dell’unità minima di intervento, oltre i confini segnati dalla proprietà catastale dell’Albergo Sonia. Ciò ha comportato l’inclusione all’interno di tale area anche dell’Hotel Moderno, come emerge dalla documentazione in atti (cfr. lo “stralcio della tavola del R.U. modificata” allegato alla scheda norma concernente l’Albergo Sonia, e l’estratto del R.U., prodotti dal Comune, rispettivamente, come documenti sub 1 e sub 20, da cui risulta inequivocabilmente, mediante espressa perimetrazione grafica – ancorchè nella suindicata relazione illustrativa delle norme del piano di recupero si legga che “l’area del piano di recupero è stata estesa fino a comprendere una parte dell’isolato” -che l’intero fabbricato dell’Hotel Moderno è ricompreso all’interno del perimetro dell’area del piano di recupero entro il quale insiste l’Albergo Sonia). Conseguentemente, l’Hotel Moderno risulta soggetto alla deroga al regime delle distanze minime, ma ne può al contempo beneficiare; inoltre, in quanto edificio “non di pregio”, risulta destinatario non della disciplina urbanistica di recupero (dettata ad hoc dalla scheda norma per l’Albergo Sonia), ma di quella generale dell’art. 13, pp. 4 e 5, “che assume efficacia di piano di recupero ai sensi della legge 457/78” (cfr., relazione al PdR, citata).

Ciò premesso, il ricorso introduttivo è infondato.

Ciò consente di prescindere dall’esame dell’eccezione di tardività dello stesso sollevata dalla controinteressata.

Il primo e il secondo motivo del ricorso introduttivo appaiono strettamente interconnessi, in quanto volti, congiuntamente, a contestare la legittimità del permesso di costruire n. 315/2006 in relazione alle previsioni di cui all’art. 13, punti 4 e 5, del regolamento. Con essi si assume l’inammissibilità di un intervento di sopraelevazione superiore ad un piano e preordinato alla “realizzazione di un fabbricato del tutto nuovo ottenuto mediante accorpamento dei volumi esistenti e sopraelevazione di tre piani”.

L’assunto non può essere condiviso.

Come si è visto, l’art. 13 delle N.T.A. – in fattispecie quali quella in esame (sottozona “D5”, edifici con destinazione “D2”, non di antica formazione “A2”) – consente sia l’aumento di un solo piano fuori terra, sia il completamento dell’esistente sulla superficie coperta già realizzata; il tutto, entro “il limite massimo di quattro piani”.

Le due previsioni ( “aumento di un solo piano fuori terra rispetto all’esistente e/o completamento dell’esistente”) risultano – in accordo con le osservazioni esposte sul punto dalla difesa comunale – complementari e concorrenti, come comprovato dalla disgiunzione “e/o” espressamente recepita nella norma tecnica: il soggetto attuatore può, a seconda della preesistente situazione di fatto, sia aumentare di un solo piano fuori terra l’edificazione, sia completarel’esistente, ove sussista “superficie coperta già legittimamente realizzata”.

Come desumibile dagli allegati grafici al permesso, l’Hotel Moderno presentava – nella zona tergale del manufatto – un corpo di fabbrica di un solo piano, in aderenza all’immobile principale, di tre piani.

L’intervento assentito si è sostanziato nel completamento della superficie coperta tergale già sussistente fino al raggiungimento del numero dei piani del fabbricato fronte strada (tre), con l’ulteriore incremento di un piano, sino al limite massimo previsto dalle N.T.A. (quattro piani); il tutto nel rispetto dell’altezza massima prescritta dallo strumento urbanistico (13,80 mt.).

Ora, in presenza di un fabbricato avente in parte un’altezza inferiore a quella del corpo di fabbrica principale, si ritiene condivisibile l’avviso interpretativo espresso dal Comune secondo il quale la norma in questione consentiva, nel caso che ci occupa, di completare l’edificazione, ovverosia di edificare sulla superficie coperta già realizzata fino al raggiungimento del livello delle restanti porzioni dell’immobile.

Aderendo all’interpretazione prospettata dalla ricorrente, infatti – in forza della quale la previsione di piano consentirebbe unicamente “modifiche degli impianti e/o delle attrezzature finalizzate a migliorare l’efficienza dell’organismo edilizio” – la nozione di “completamento”, così come replicato dalla difesa comunale, sarebbe privata di contenuto ed il punto 5 dell’art. 13 risulterebbe, almeno in parte, inutiliter datum, in quanto gli interventi suindicati potrebbero essere realizzati anche in assenza di espressa previsione.

L’intervento qui in discussione non risulta, quindi, in contrasto con la suindicata disciplina urbanistica.

Inconferenti risultano, poi, i riferimenti ai punti 6 e 7 dell’art. 13 delle N.T.A. del Regolaemento Urbanistico, contenuti nella seconda parte del secondo motivo di ricorso.

Trattasi, infatti, di previsioni che attengono ad interventi eterogenei rispetto a quello oggetto del permesso di costruire n. 315/2006: il titolo impugnato concerne un intervento di “ampliamento funzionale e sopraelevazione”, mentre i punti 6 e 7 attengono – nella versione all’epoca vigente – ad interventi di “ristrutturazione urbanistica”.

Con il terzo motivo di ricorso, la ricorrente deduce la violazione delle distanze minime tra pareti finestrate assumendo – in buona sostanza – che della deroga contenuta nella disciplina regolamentare beneficierebbe il solo Albergo Sonia, e non anche gli altri immobili ricompresi all’interno della zona soggetta a piano di recupero in cui si trova l’Albergo Sonia.

Anche tale doglianza è priva di fondamento, sulla base delle considerazioni fatte in premessa.

L’Hotel Moderno, infatti, è ricompreso nel medesimo perimetro di piano entro il quale insiste il bene della ricorrente: da tale constatazione discende, in via di diretto corollario, l’applicabilità anche nei confronti della controinteressata delle norme derogatorie in tema di distanze minime contenute nel piano di recupero per le attività alberghiere.

Con il quarto motivo di ricorso, la ricorrente deduce, in buona sostanza, una carenza motivazionale dell’autorizzazione paesaggistica.

Anche tale doglianza non coglie nel segno.

L’intervento, con la sola esclusione di un muro di recinzione originariamente previsto sul confine lato monti, è stato ritenuto – a seguito dell’acquisizione di un primo parere da parte del Collegio degli esperti in materia paesaggistica e ambientale, reso il 29 novembre 2005 – “conforme alla strumentazione urbanistica vigente” e “compatibile con il contesto ambientale su cui va ad incidere in quanto non altera i tratti paesaggistici della località”.

Il giudizio espresso è stato, poi, condiviso sia dalla Soprintendenza per i beni architettonici ed il paesaggio di Lucca, che ha ritenuto “ammissibile l’intervento dando parere favorevole al progetto”, sia (una seconda volta) dal Collegio degli esperti.

Ora, tenuto conto che il provvedimento autorizzatorio in questione si fonda sull’espletamento di un’adeguata istruttoria, la suindicata motivazione, per quanto succinta - ma in cui sono menzionate anche le prescrizioni alle quali è subordinata la realizzazione dell’intervento - risulta idonea a sorreggerlo (cfr., Cons. di Stato, sez. VI, 12 novembre 1993, n. 849).

3. L’atto introduttivo del presente giudizio va, pertanto, respinto.

4. Per quanto riguarda il primo ricorso per motivi aggiunti, con cui sono stati impugnati il permesso di costruire in variante n. 118/2009, con i presupposti titoli paesaggistici, e la determinazione dirigenziale di archiviazione del procedimento di annullamento in autotutela del 26 gennaio 2009, si può prescindere dall’esame dell’eccezione di inammissibilità sollevata dalla controinteressata con riferimento al provvedimento di archiviazione, stante l’infondatezza del ricorso nel merito.

Con il primo motivo aggiunto la ricorrente contesta la legittimità della determinazione di archiviazione del procedimento in autotutela, assumendo che dall’omessa rappresentazione, negli elaborati allegati alla istanza di permesso di costruire, del manufatto edificato, ancorchè sine titulo, sul confine sarebbe dovuto conseguire l’annullamento del permesso.

In particolare, il Comune – nella delibazione sui presupposti per la caducazione d’ufficio del titolo – avrebbe dovuto valorizzare:

- la legittima preesistenza del manufatto, assentito con titolo sanante n. 111 del 27 maggio 1998 ed oggetto di mera ristrutturazione;

- l’irrilevanza, ai fini del doveroso rispetto delle distanze minime tra edifici, della natura abusiva del bene, peraltro non oggetto di sanzione ripristinatoria al momento di adozione del permesso di costruire n. 315/06, quando l’istanza di sanatoria edilizia (presentata il 10 dicembre 2004) avente ad oggetto il predetto manufatto non era stata ancora definita;

- la pendenza di un iter di variante generale al R.U. sottesa “all’ammodernamento del patrimonio alberghiero esistente” dalla quale conseguirebbe “la possibilità del ripristino del manufatto de quo”.

La censura non è condivisibile.

Come noto, l’art. 21-nonies della legge n. 241/90, novellata con la legge n. 15/05, consente all’Amministrazione l’autoannullamento del provvedimento allorchè illegittimo, entro un termine ragionevole, qualora sussistano ragioni di interesse pubblico prevalenti su quelle del destinatario degli effetti favorevoli.

Con l’atto impugnato, il Comune – in esito al contraddittorio procedimentale – non ha ritenuto sussistenti due requisiti per l’annullamento in autotutela: l’illegittimità del provvedimento e comunque la prevalenza dell’interesse pubblico alla caducazione dello stesso.

In particolare, come desumibile dalla motivazione del provvedimento, la determinazione del Comune trovava sostegno:

- nella accertata natura abusiva del manufatto posto a confine;

- quindi nella prossima, doverosa, demolizione, già impartita sia dal Comune (ordinanza di ripristino del 18 settembre 2008, a seguito del diniego di condono del 18 giugno 2008), che dal Giudice penale (sentenza definitiva del 21 aprile 2008);

- nella circostanza che il permesso di costruire n. 315/06 aveva ormai esplicato integralmente i propri effetti essendo la costruzione ultimata al rustico;

- nella insussistenza di un interesse pubblico legittimante il sacrificio del privato.

Inoltre, dalla lettura della motivazione della determinazione di archiviazione, è agevole desumere come gli elaborati grafici prodotti con l’istanza di variante al permesso di costruire n. 315/2006 rappresentano del tutto correttamente“lo stato dei luoghi” preesistente in loco“relativo al fabbricato confinante lato Monti”, ed è incontestato che rispetto a tale stato dei luoghi, l’intervento assentito sia ossequioso delle distanze minime.

Né, come è desumibile dalla nota comunale prot. n. 33385 del 20 dicembre 2008, pendevano procedimenti edilizi sottesi alla legittimazione postuma del bene abusivo in questione, in quanto l’Avviso di Bando Pubblico per la“Riqualificazione alberghiera” cui ha aderito la ricorrente, comportava semplicemente che “le richieste presentate saranno valutate anche in funzione di eventuali modifiche che potranno essere apportate alla strumentazione urbanistica vigente”, secondo la discrezionalità pianificatoria di cui è titolare il Consiglio Comunale, senza che peraltro potessero assurgere a“pratiche edilizie a tutti gli effetti, con relativo avvio del procedimento e conclusione mediante eventuale rilascio di titolo edilizio”.

Su tali premesse, tenuto conto che il riesame di legittimità di un provvedimento amministrativo ai fini del suo annullamento in via di autotutela implica l’esercizio di una potestà discrezionale rimessa alla più ampia valutazione di merito dell’Amministrazione, circa la sussistenza delle “ragioni di interesse pubblico” richieste dall’art. 21 nonies della legge n. 241/90 (cfr., Cons. di Stato, IV, 1° luglio 2011, n. 3949), il provvedimento di archiviazione in esame, a prescindere dalla dedotta illegittimità del permesso di costruire n. 315/2006, risulta sorretto da una adeguata motivazione, incensurabile in sede di legittimità, tranne che per evidenti illogicità non riscontrabili nella specie.

Con i successivi motivi aggiunti (secondo, terzo e quarto), riproduttivi delle doglianze già articolate con il ricorso introduttivo si contesta la legittimità del permesso in variante, nel presupposto che le modifiche assentite rivestirebbero carattere essenziale.

Le censure sono infondate.

Nella relazione tecnica allegata alla istanza di variante, si premette quanto segue:

“Il progetto … [assentito con il permesso di costruire n. 315/2006] è stato ad oggi in massima parte realizzato, segnatamente nelle sue volumetrie e nel suo ingombro plani volumetrico.

Rimane da realizzare la copertura dell’edificio in ampliamento, la quale dovrà assumere una connotazione diversa da quella originaria, per la cui realizzazione è necessaria la presente variante.

Quella in oggetto è una variante ‘riduttiva’, in quanto attesta la rinuncia alla realizzazione dell’ampliamento volumetrico della struttura sul lato fronte strada, al terzo piano.

Le modifiche non coinvolgono l’aspetto estetico dell’opera che rimane sostanzialmente invariato, ovvero migliorato dal punto di vista del minore impatto dell’edificio che, come già detto, avrà una consistenza volumetrica inferiore a quella originariamente progettata e assentita.

La variante si rende necessaria per esigenze strutturali, impiantistiche e distributive interne, come di seguito illustrate”.

Ed, infatti, come è desumibile dalla medesima relazione e dalla documentazione allegata all’istanza di variante, versata in atti, la nuova soluzione progettuale ha comportato:

- rinuncia all’ampliamento volumetrico originariamente previsto al piano terzo della struttura fronte strada;

- riduzione del volume complessivamente assentito (da m3. 2.795,21 a m3. 2.769,88);

- leggero arretramento della copertura a capanna rispetto al progetto originario (così da rendere invisibili dal lato strada le murature portanti verticali);

- creazione di una intercapedine tecnica tra l’edificio esistente e l’ampliamento tergale;

- un modestissimo decremento della s.u.l. (da mq. 851,16 a mq. 849,64)

- modeste variazioni interessanti i locali tecnici (piccolo ampliamento della centrale termica);

- la diversa distribuzione di talune porte e finestre;

- un modesto incremento dell’altezza del corpo di fabbrica, stimabile in alcuni decimetri.

Su tali presupposti, non si ritiene che la variazione al titolo assuma carattere essenziale, in quanto – concordemente con l’avviso espresso dal Comune nelle proprie memorie difensive – non incide sostanzialmente sul progetto in origine assentito, atteso che non altera il carico urbanistico e la conformazione planovolumetrica di massima.

A riguardo, non può che ribadirsi il tradizionale orientamento giurisprudenziale secondo il quale – premesso che per determinare il carattere essenziale o meno di una variante alla concessione edilizia, si deve avere riguardo al risultato complessivo dell’intervento costruttivo, per cui il relativo giudizio fa formulato, non già esaminando l’intervento stesso nei suoi singoli elementi, ma valutando l’insieme delle modificazioni apportate al primitivo progetto (cfr., Cons, di Stato, V, 18 ottobre 2001, n. 5496; TAR Puglia, III, 14 dicembre 2006, n. 4355) - per stabilire se si è di fronte ad una variante alla concessione ovvero ad una nuova concessione edilizia occorre far riferimento alle modifiche di carattere qualitativo o quantitativo apportate al progetto originario, in particolare, a quelle relative alla superficie coperta, al perimetro, alla volumetria ed alle caratteristiche funzionali e strutturali (interne ed esterne) dell'edificio (cfr., ex multis, Cons. di Stato, V, 3 agosto 2004, n. 5429; 22 gennaio 2003, n. 249).

Alla luce dell'orientamento richiamato, e condiviso, le variazioni progettuali apportate, nel caso di specie, al titolo originario non rivestono carattere essenziale, perché non incidono sulle caratteristiche complessive dell'intervento già in pregresso assentito.

L'interpretazione proposta trova, inoltre, sostegno nella stessa disamina del titolo in variante: nel permesso in variante n. 118/09 si precisa che i termini iniziale e finale per l'esecuzione delle opere sono quelli già recepiti nel permesso originario (invece, ove il permesso in variante avesse concretizzato autonomo titolo, l'anno ed il triennio per il compimento dell'intervento avrebbero dovuto iniziare a decorrere ex novo).

Non solo: l'assenso alle opere in variante non ha comportato, per il soggetto attuatore, obbligo di corresponsione di (ulteriori) oneri di urbanizzazione primaria e/o secondaria, a conferma del fatto che dalla variazione al progetto non è conseguito alcun incremento del carico urbanistico.

E, pertanto, tenuto conto che le doglianze di cui al secondo, terzo e quarto motivo aggiunto, dedotte avverso la variante al permesso di costruire sono meramente riproduttive delle censure già articolate con il primo, secondo e terzo motivo del ricorso introduttivo, le stesse – a prescindere dalla loro inammissibilità per carenza di interesse, come rilevato dall’Amministrazione resistente, in quanto sostanzialmente rivolte avverso il permesso originario, non avendo il titolo in variante apportato variazioni essenziali al permesso originario - risultano infondate per le medesime ragioni già indicate nell’esame di tali motivi.

Con il quinto motivo aggiunto, la ricorrente deduce la carenza motivazionale dell’autorizzazione paesaggistica, sul presupposto che l’intervento in variante si sostanzierebbe in un evidente incremento del carico urbanistico.

Anche tale censura non è condivisibile.

La motivazione del contestato provvedimento autorizzatorio, che poggia sulla considerazione che “l’intervento richiesto è attestato conforme alla strumentazione urbanistica vigente ed è compatibile con il contesto ambientale su cui va ad incidere in quanto non altera i tratti paesaggistici della località”, sfugge, infatti, alla censura dedotta per le ragioni innanzi indicate in ordine alla natura non essenziale della variante assentita.

5. Il primo ricorso per motivi aggiunti va, pertanto, respinto.

6. Con il secondo ricorso per motivi aggiunti, è stata impugnata la D.I.A. n. 2.101 del 15 aprile 2010, deducendo, con un unico motivo di ricorso, l’illegittimità della stessa in via derivata dall’illegittimità del permesso di costruire n. 315/2006 - impugnato con il ricorso introduttivo - e della successiva variante n. 118/2009 - impugnata con il primo ricorso per motivi aggiunti – che ne costituiscono i presupposti.

Anche tale ricorso – a prescindere dall’eventuale inammissibilità dello stesso, eccepita dall’Amministrazione resistente, in considerazione della natura giuridica della D.I.A. – si rivela infondato per le stesse ragioni sviluppate nell’esame del ricorso introduttivo e del primo ricorso per motivi aggiunti.

7. Il secondo ricorso per motivi aggiunti va, pertanto, respinto.

9. Quanto alle spese di giudizio, le stesse seguono la soccombenza, e vengono liquidate come in dispositivo, in relazione all’Amministrazione comunale e alla controinteressata; non vi è luogo a provvedere sulle stesse in relazione all’Amministrazione statale intimata, stante il ruolo marginale dalla stessa rivestito nella vicenda per cui è causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso introduttivo, sul primo e sul secondo ricorso per motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li respinge.

Condanna la ricorrente a rifondere all’Amministrazione comunale resistente e alla controinteressata le spese di giudizio, che liquida nella complessiva somma di euro 3.000,00 (tremila/00), oltre IVA e CPA, da corrispondere a ciascuna delle predette parti nella misura della metà.

Nulla spese nei confronti dell’Amministrazione statale intimata.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 20 ottobre 2011 con l'intervento dei magistrati:

Angela Radesi, Presidente

Eleonora Di Santo, Consigliere, Estensore

Silvio Lomazzi, Primo Referendario

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 16/10/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)