Decreto-legge "salva Ilva-Fincantieri": ma non solo. Le novità

di Alberto PIEROBON

Il decreto-legge 4.7.2015, n. 92, recante “Misure urgenti in materia di rifiuti e di autorizzazione integrata ambientale, nonché per l'esercizio dell'attività d'impresa di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale” (in vigore dal 4 luglio 2015) è stato icasticamente (e correttamente) subito chiamato dai mass-media come “decreto salva Ilva-Fincantieri”.

In effetti - come anche da comunicazione mediatica del Premier Renzi - il decreto, che è stato adottato dal Consiglio dei Ministri il pomeriggio del 3 luglio e firmato dal Presidente Mattarella il giorno seguente, con subitanea pubblicazione (entrando in vigore il 4 luglio), ha il chiaro ed esplicito intento di evitare che le recentissime vicende penali riguardanti l’Ilva di Taranto e la Fincantieri di Monfalcone (GO) comportino la perdita di posti di lavoro e di fatturato per queste realtà produttive.

Ed ecco che le disposizioni sono emanate per assicurare “la prosecuzione, per un periodo determinato, dell’attività produttiva degli stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale interessati da un provvedimento giudiziario di sequestro dei beni” nonché “di garantire che le misure, anche di carattere provvisorio volte ad assicurare la prosecuzione dell’attività produttiva dei medesimi stabilimenti, siano adempiute secondo condizioni e prescrizioni contenute in un apposito piano, a salvaguardia dell’occupazione, della sicurezza sul luogo del lavoro, della salute e dell’ambiente”.

Ma cosa era successo per far - con tanta tempestività e urgenza - adottare al Consiglio dei Ministri questo decreto legge?

Si ricorda come nel sito Fincantieri di Monfalcone, si costruiscano grandi navi, anche grazie a laute commesse internazionali, in questo si impiegano anche subappaltatori. Uno di questi subappaltatori, che lavorava nelle navi in costruzione, accatastava i rifiuti (scarti di lavorazione) derivanti dalla propria attività, nella banchina del cantiere (cioè in terraferma). L’area in parola è stata messa a disposizione dalla Fincantieri, qui i rifiuti venivano poi selezionati e trasportati da un’altra ditta incaricata sempre dalla Fincantieri.

Il Tribunale di Gorizia ha ritenuto qui trattarsi “di attività propedeutiche alla fase di gestione del rifiuto e della sua distinzione dagli eventuali sottoprodotti”, svolte in ambito di deposito temporaneo (e quindi non autorizzabili in quanto fuori dalla gestione di rifiuti).

Siccome la normativa del d.lgs. 3.4.2006, n. 152 (c.d. “codice ambientale”) prevede che il “deposito temporaneo” è (art. 183, comma 1, lett. bb)) il “raggruppamento dei rifiuti effettuata prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti”, per il P.M. i subappaltori avevano spostato i rifiuti - prodotti nell’ambito del loro servizio - in un altro luogo di cui non erano titolari (la banchina, non la nave), ovvero nell’area individuata dalla Fincantieri (il committente/appaltante) che ne curava la contabilizzazione nel registro carico/scarico, ecc.

Per il P.M. “scattava” quindi il reato di deposito incontrollato, ovvero una attività di gestione rifiuti non autorizzata.

Tanto, accertato e contestato, veniva (come detto) rigettato dal Tribunale di Gorizia (1), avverso il quale provvedimento il Procuratore della Repubblica di Gorizia ricorreva in Cassazione per chiederne l’annullamento.

Il Procuratore affermava che, nel caso di specie:

  • il soggetto produttore dei rifiuti non sarebbe la Fincantieri,”ma i singoli subappaltatori coinvolti nella complessa attività di realizzazione delle navi; tali soggetti non risultano essere titolari della autorizzazione per la gestione dei rifiuti da essi prodotti”;
  • non tanto di deposito temporaneo si deve qui parlare, quanto di “stoccaggio” essendo stati i rifiuti “trasportati da bordo nave fino agli spazi adiacenti sulla terraferma per essere ivi conservati alla rinfusa; la fase di cernita e suddivisione viene eseguita successivamente a questo primo deposito che, pertanto, deve essere qualificato come deposito di stoccaggio e non deposito temporaneo”;
  • la ditta subappaltatrice è quindi il produttore dei rifiuti, quindi necessita di una apposita autorizzazione.

La difesa delle ditte subappaltatrici affermava che esse realizzano opere all’interno delle navi in costruzione, con materiale fornito dalla Fincantieri, e i residui da lavorazione, prima di essere trattati ai fini della loro gestione, sono conferiti in terraferma, per motivi di spazio e di sicurezza. Altri subappaltatori gestiscono i rifiuti utilizzando in via esclusiva per il deposito, le aree messe a disposizione da Fincantieri.

La Cassazione, sez. III penale, con sentenza 9.7.2014 (dep. il 10.2.2015), n. 5916/2014, ha accolto il ricorso del Procuratore, stabilendo che il produttore dei rifiuti non è solo il soggetto dalla cui attività materialmente realizzata deriva la produzione dei rifiuti, ma anche il soggetto al quale sia giuridicamente riferibile detta produzione (2).

E, le ditte subappaltatrici, affidatarie di incarichi da Fincantieri, per specifici ambiti tecnici, non erano autorizzate per la gestione dei rifiuti dalle medesime prodotti.

In pratica viene affermato che “gli obblighi connessi alla gestione dei rifiuti stessi non gravano certamente solo sul produttore in senso giuridico, ove questi sia appaltatore delle opere da cui i rifiuti derivino, ma anche, e si direbbe, soprattutto, sul produttore in senso materiale” (3).

Si contesta poi che il deposito temporaneo della Fincantieri costituisca il deposito temporaneo anche per le ditte subappaltatrici.

L’area di cui trattasi è, infatti, distinta rispetto a quella di produzione, ed è Fincantieri che preleva i rifiuti da bordo nave per trasferirli sulla terraferma. Qui i rifiuti vengono sottoposti, a cura di una altra ditta incaricata da Fincantieri, a una cernita in funzione delle varie tipologie di rifiuto presenti.

Quindi, per la Cassazione (stante il dettato normativo) si conferma uno stoccaggio, necessitante di una specifica autorizzazione (4), non un deposito temporaneo (“il cosiddetto deposito alla rinfusa”) che non rientrando nell’attività di gestione dei rifiuti, non richiede una autorizzazione.

Per la Cassazione si sarebbe in presenza del “cosiddetto deposito incontrollato”, sanzionato ai sensi dell’art. 256 del codice ambientale (5).

Così ai NOE non restava che operare il sequestro preventivo delle aree ubicate nello stabilimento in Monfalcone di Fincantieri, in quanto destinate alla lavorazione dei predetti residui da lavorazione .

A questo punto i vertici della Fincantieri bloccavano il cantiere e lasciavano ai cancelli di ingresso circa 5000 persone (1600 propri dipendenti e 3400 dipendenti dei subappaltatori), il tutto con ovvia enfatizzazione mediatica circa la necessità di provvedere al salvataggio occupazionale e produttivo di questa grande realtà.

Ecco, quindi, che il Governo, condividendo queste preoccupazioni, interviene con un decreto legge (quindi invocando la straordinaria necessità e urgenza) sulle definizioni del codice ambientale, fornendo una interpretazione autentica a taluni istituti che sono presupposti in queste vicende penali dalle quali è conseguito il fermo di stabilimento.

Più esattamente, il governo-legislatore è intervenuto sulle definizioni di:

  • “Produttore” (art. 183, comma 1, lett. f)): che ora è da intendersi anche “il soggetto al quale sia giuridicamente riferibile” la produzione dei rifiuti derivante dall’attività del produttore iniziale che ora ricomprende anche il predetto soggetto;
  • “Raccolta” (art. 183, comma 1, lett. o)): che ora comprende il “deposito preliminare alla raccolta”;
  • “Deposito temporaneo” (art. 183, comma 1, lett. bb)): che, ora, è “il raggruppamento dei rifiuti e il deposito preliminare alla raccolta ai fini del trasporto di detti rifiuti in un impianto di trattamento, effettuati prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti, da intendersi quale l’intera area in cui si svolge l’attività che ha determinato la produzione dei rifiuti”, ecc.

Ciò - si afferma nel preambolo del decreto - per assicurare la coerenza e l’uniforme applicazione delle suddette definizioni , “al fine di uniformare la disciplina nazionale con quanto stabilito dalla direttiva 2009/98/UE, con particolare riferimento alle attività che costituiscono l’iter tecnico-amministrativo di produzione e gestione dei rifiuti”.

Ma, queste precisazioni, non solo per sé stesse, ma relazionate l’una all’altra, sembrano creare alcune perplessità (6).

Non rientra nell’economia del presente scritto affrontare funditus questa tematica, basti qui limitarsi a dire che:

  • il produttore nella sua (invero giusta) estensione giuridica (dal materiale al giuridico) potrà però per come viene qui integrata la definizione codicistica, creare dubbi sull’utilizzo (come è avvenuto in passato (7)) di espedienti contrattuali per limitare, se non “scaricare”, gli adempimenti e la responsabilità tra appaltante e appaltatore e tra questi e il subappaltatore… In pratica la soluzione non potrà che essere casistica;
  • il deposito temporaneo era sempre stato considerato effettuarsi nel luogo di produzione dei rifiuti, con divieto di luoghi diversi. In questo basti considerare le eccezioni che confermano la regola (es. l’art. 230, commi 1-4 sulle attività di manutenzione alle infrastrutture (8)) oltre le numerose casistiche relative all’area di produzione dei rifiuti (con divieto di spostamento intraaziendale dell’area: es. da sede periferica a sede periferica, cfr. Cass., sez. III pen., 4.5.2007, n. 16955), ora la spazialità si allarga all’area di produzione dei rifiuti;
  • la raccolta rifiuti è una fase della gestione dei rifiuti e quindi è una attività autorizzata, ora in essa rientra anche il deposito preliminare alla raccolta che invece non è autorizzato…

Torneremo, come detto, sull’argomento in modo approfondito.
Circa l’art. 2 del decreto in rassegna riscrive la disposizione transitoria sulle installazioni sottoposte all’AIA a seguito dell'entrata in vigore del decreto legislativo 4.3.2014, n. 46 (attuazione della direttiva 2010/75/UE relativa alle emissioni industriali).

Siccome questo regime di transitorietà cesserà il 7 luglio 2015 (cfr. il titolo III-bis della Parte Seconda del codice ambientale) se nel frattempo non viene emanata l’AIA, con la nuova formulazione dell’art. 29 del cit. d.lgs. 46/2014 si fa in modo che le attività oggetto di AIA possano continuare nelle loro attività anche dopo la data del 7 luglio 2015, ma solamente nelle more della chiusura dei procedimenti autorizzativi da parte delle competenti autorità regionali, e solamente per le installazioni che (a quella data) operano nel pieno rispetto dei requisiti stabiliti dalla direttiva, conformemente a quanto da esse proposto in sede di rilascio dell’AIA.

Resta comunque fermo l'obbligo per le amministrazioni competenti di concludere il procedimento AIA, come pure la possibilità, per gli operatori interessati, di attivarsi in via giudiziale per gli eventuali inadempimenti delle predette autorità.

Per quanto riguarda l’ILVA il calvario dei decreti legge continua, tra commissari che guardano con preoccupazione alla Procura e viceversa. Inoltre i Comitati non rimangono silenti, ad esempio, in questo caso il Comitato “Donne e futuro per Taranto libera” ha inoltrato una vibrata nota alla Procura invitandola a ricorrere in via pregiudiziale, avanti la Corte di Giustizia di Lussemburgo, per valutare la compatibilità della normativa italiana, cosiccome novellata da questo decreto legge, rispetto a quella europea.

Ma, anche qui, cosa è successo?

A fine giugno un operaio mentre misurava la temperatura nell’altoforno 2 (AFO2), è deceduto a seguito di una gettata liquida di ghisa che l’aveva investito. La Procura ha disposto il sequestro, senza facoltà d’uso, dell’AFO2, quindi con necessità di un suo spegnimento. Ricordiamo che nello stabilimento ILVA erano in funzione solo l’AFO2 e l’AFO4, mentre l’AFO1 è spento da dicembre e l’AFO5 è inattivo da qualche mese, al fine di adeguarsi alle prescrizioni AIA. Gli AFO2 e AFO4 nella loro attività producevano con il riciclo del gas energia utilizzata anche in altri settori dello stabilimento. La chiusura di AFO 2 impedisce,ora, questo utilizzo energetico.

Ecco quindi, anche in seguito alle lamentazioni delle associazioni industriali e pure dei sindacati, che il Governo ha pensato qui di risolvere il problema imponendo all’Ilva l’adozione di apposite misure , tramite un piano integrativo di misure aggiuntive in materia di sicurezza del lavoro.

Anche qui la straordinaria necessità ed urgenza si invoca per “adottare una disciplina transitoria volta a consentire che le installazioni sottoposte” all’AIA “già operanti nel pieno rispetto dei requisiti stabiliti dalla direttiva medesima, possano proseguire il proprio esercizio nelle more della definizione dei procedimenti amministrativi di autorizzazione da parte delle competenti autorità regionali”.

Ed è l'art. 3 del d.l. 92/2015, titolato "Misure urgenti per l'esercizio dell'attività di impresa di stabilimenti oggetto di sequestro giudiziario" che al comma 1 stabilisce che “1. Al fine di garantire il necessario bilanciamento tra le esigenze di continuità dell'attività produttiva, di salvaguardia dell'occupazione, della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell'ambiente salubre, nonché delle finalità di giustizia, l'esercizio dell'attività di impresa degli stabilimenti di interesse strategico nazionale non è impedito dal provvedimento di sequestro, come già previsto dall'articolo 1, comma 4, del decreto-legge 3.12.2012, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 24.12.2012, n. 231, quando lo stesso si riferisca ad ipotesi di reato inerenti alla sicurezza dei lavoratori” (9).

La scelta legislativa non è nuova, e ribadisce quanto già stabilito in precedenti decreti chiamati “salva Ilva” (10).

Lo ricorda anche il Ministro dell’ambiente nella relazione disegno di legge (presentato per la conversione in legge del decreto-legge 92/2015), n. 3210, XVII legislatura, Camera deputati (11), ove fa presente che la scelta ricorre per i provvedimenti di sequestro giudiziario dei beni riguardante questi impianti di interesse strategico nazionale, ancorché si riferiscano alle ipotesi di reato inerenti alla sicurezza dei lavoratori, in questo modo viene a garantirsi “al contempo la salvaguardia dell'occupazione, della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell'ambiente. La disciplina in realtà non rappresenta una novità nell'ordinamento in quanto si limita ad ampliare quanto già previsto dal comma 4 dell'articolo 1 del decreto-legge 3.12.2012, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 24.12.2012, n. 231” (12).

Si ricorda altresì che, come a tale qualificazione di impianti “di interesse strategico nazionale” sia sovente ricorso il nostro legislatore, ad esempio, sintomatico è l’art. 35 del decreto “sblocca Italia” sulla rete inceneritoristica nazionale che si richiama anche all’art. 195 del codice ambientale.

Per quanto qui ci interessa la qualificazione “di interesse strategico nazionale, consente di far sì che l'adozione di provvedimenti cautelari reali aventi ad oggetto questi stabilimenti produttivi, non impedisca la prosecuzione dell'attività di impresa, semprecchè avvengano nel rispetto delle condizioni indicate dai commi 2 e 3 del cit. art. 3 (13).

Per il comma 5 “Le disposizioni del presente articolo si applicano anche aiprovvedimenti di sequestro già adottati alla data di entrata in vigore del presente decreto e i termini di cui ai commi 2 e 3 decorrono dalla medesima data” (alla data del 4 luglio 2015), ovvero se a quella data risulti già adottato un provvedimento di sequestro preventivo, come nei casi in esame.

Il piano deve contenere misure e attività aggiuntive, se del caso, di carattere provvisorio, per la sicurezza dell'impianto di cui al provvedimento cautelare.
Il medesimo piano va prodotto al comando provinciale dei vigili del fuoco, agli uffici dell'azienda sanitaria locale e dell'INAIL per le attività di vigilanza di rispettiva competenza, mediante costante monitoraggio e ispezioni.

Insomma, è chiaro che qui vengono meno i presupposti dei provvedimenti penali assunti e che si creano altri presupposti, quali: la natura strategica dell'impianto, la predisposizione di un piano di adeguamento entro 30 giorni dall'adozione del provvedimento; la attuazione del prefato piano entro un anno, in modo tale che si l’attività di impresa possa comunque continuare.

Infine, nel rispetto della separazione tra potere giudiziario e altri, i legali dell’ILVA hanno dovuto inviare il provvedimento con lettera al GIP che aveva disposto il sequestro al fine di modificare il provvedimento cautelare dell’interruzione dell’attività per ius superveniens.

Il giudice differirà quindi l'efficacia del proprio provvedimento, imponendo che entro 30 giorni venga adottato un piano di adeguamento da parte dell’impresa per il periodo necessario al risanamento, che non potrà superare comunque i dodici mesi (14).

Conclusivamente, siamo dell’opinione che questo intervento per l’intanto consente di provvedere a fare continuare l’attività di Fincantieri in Monfalcone e dell’ILVA di Taranto, ma le modifiche introdotte per quanto riguarda le “definizioni” di produttore, di raccolta e di deposito temporaneo dovranno essere rimaneggiate per evitare che la straripante casistica fattuale sommerga la previsione normativa così confezionata, imponendo (nuovamente e soprattutto come diritto vivente) l’intervento della giurisprudenza.

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(1) “con ordinanza dell'11 luglio 2013, il ricorso in appello” avverso il provvedimento proposto dal P.M. in quanto “la documentazione in atti non aveva fatto emergere l’esistenza di una situazione di pericolo di danno ambientale. La attività di gestione dei rifiuti ivi realizzata si sarebbe svolta, secondo il Tribunale, in più fasi, caratterizzate da un progressivo sgrossamento e selezione del materiale di risulta derivante dalle lavorazioni eseguite a bordo nave; ciò avrebbe giustificato una prima impressione di promiscuità nella conservazione del materiale stesso; essa, però, doveva essere inserita nel procedimento di razionalizzazione e riutilizzo del rifiuto volta a consentirne il più possibile il successivo riutilizzo allo scopo di limitare l’impatto ambientale del mero smaltimento. Ha, altresì, osservato il Tribunale che i rifiuti risultavano classificati da Fincantieri e suddivisi, anche topograficamente, in relazione alla loro tipologia”, così la Cassazione, sez. III penale, con sentenza 9.7.2014 (dep. il 10.2.2015), n. 5916/2014.

(2) Si richiama la sentenza della Corte di Cassazione, sez. III penale, 21.1.2000, n. 4957.

(3) Sul punto la Corte richiama le sentenze della Corte di Cassazione, sez. III penale, 21.1.2000, n. 4957 e del 22.6.2011, n. 25041 “nella quale è, anzi, esclusa la responsabilità del committente”.

(4) La sentenza qui richiama la sentenza della Corte di Cassazione, sezione III penale, 4.12.2013, n. 48491.

(5) Si richiama la sentenza della Corte di Cassazione, sez. III penale, 19.4.2011, n. 15593.

(6) Parla di puzzle definitorio che (soprattutto con riferimento al produttore) non mancherà di produrre i suoi effetti in numerosi ambiti operativi e sotto molti profili pratici” P. FICCO, Anche i committenti diventano produttori di rifiuti, Il Sole 24 Ore del 7 luglio 2015. Anche per altri la definizione di produttore “in via di prima approssimazione, ci sembra possa introdurre un profilo di criticità nella individuazione del produttore laddove vi siano dei lavori eseguiti in virtù di rapporti contrattuali tra committente ed esecutore dei lavori” così C. BOVINO, AIA rifiuti e industrie oggetto di sequestro giudiziario: varate nuove misure, Quotidiano Giuridico on line, Ipsoa, 8 luglio 2015.

(7) Sia permesso rinviare ai nostri scritti apparsi su questa rivista ove si indicavano le diverse posizioni dottrinarie e giurisprudenziali in ordine alla individuazione-identificazione dei vari soggetti produttori/detentori, anche in concorso con altri nella gestione dei rifiuti (e la questione della posizione di garanzia e della delegabilità). Citasi, ex multis, Cass., sez. III penale, 29.5.1997, n. 5006; 21.10.1998, n. 10952; 21.4.2000, n. 4957; 29.7.1998; 30.3.1999, n. 3041; 27.1.2004, n. 2662; 17.12.1999 (dep. 6.2.2000) n. 1767;
Tra la dottrina, che nel tempo ha affrontato questa tematica (soprattutto in riferimento all’art. 10 dell’allora vigente d.lgs. 22/1997 c.d. decreto “Ronchi”) si veda G. AMENDOLA, Gestione dei rifiuti e normativa penale, Milano, 2003 (p. 294 ss.); M. SANTOLOCI –M. PERNICE, La nuova disciplina in materia di rifiuti, Roma, 2000, p. 163 ss.; V. PAONE, Commento alla sentenza della Corte di Cassazione, penale, sez. III, 21 aprile 2000, n. 4957, in Ambiente, Milano, n. 7/2001; P. GIAMPIETRO, Classificazione e disciplina dei rifiuti prodotti da imprese di manutenzione, in Ambiente, Milano, n.1/2000; L. FILIPPPUCCI, La posizione del “produttore” dei rifiuti e la responsabilità del committente, sito www. diritto ambiente.com.

(8) Cfr. Cass., sez. III pen., 5.9.2007, n. 33866.

(9) Si noti che il provvedimento di sequestro deve riguardare ipotesi di reato sulla sicurezza del lavoro.

(10) Ad esempio, l'art. 3 del decreto-legge 3.12.2012, n. 207 stabiliva che l’ILVA doveva considerarsi “di interesse strategico nazionale”. La norma era stata impugnata per illegittimità costituzionale, ma la Corte Costituzionale con sentenza n. 85 del 2013 “ha chiarito entro quali limiti è comprensibile un intervento del legislatore per modificare il quadro normativo sulla cui base sono stati emessi provvedimenti cautelari, creando una nuova situazione di fatto e di diritto, in quanto la produzione può riprendere, con modalità compatibili con l'interesse tutelato dalla disposizione posta a base della misura cautelare. In tale ottica si colloca l'introduzione di un adempimento aggiuntivo, in linea con quelli previsti dalla legislazione in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, che, pur non necessitando di alcun avallo preventivo, responsabilizza l'imprenditore e rafforza le cautele che l'impresa si impone per maggior tutela del lavoratore. Viene previsto che, ricorrendo tale ipotesi, l'attività dello stabilimento prosegue per un periodo determinato, non superiore, comunque, a dodici mesi dall'adozione del provvedimento dell'autorità giudiziaria, secondo modalità concordate con la stessa autorità” così il Ministro dell’Ambiente nella relazione disegno di legge presentato per la conversione in legge del decreto legge n. 92/2015 , n.3210, XVII legislatura, Camera Deputati.

(11) Presentato, sempre il 4 luglio 2015, dal Presidente del Consiglio dei Ministri (RENZI) dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (GALLETTI) e dal Ministro dello sviluppo economico (GUIDI)di concerto con il Ministro della giustizia (ORLANDO).

(12) Decreto-legge 3.12.2012, n. 207, "Disposizioni urgenti a tutela della salute, dell'ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale" (GU n. 282 del 3.12.2012) convertito con modificazioni dalla legge 24.12.2012, n. 231 (in G.U. 3.1.2013, n. 2). Art. 1 “Efficacia dell'autorizzazione integrata ambientale in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale”. 1. In caso di stabilimento di interesse strategico nazionale,individuato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri,quando presso di esso sono occupati un numero di lavoratori subordinati, compresi quelli ammessi al trattamento di integrazione dei guadagni, non inferiore a duecento da almeno un anno, qualora vi sia una assoluta necessità di salvaguardia dell'occupazione e della produzione, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare può autorizzare, in sede di riesame dell'autorizzazione integrata ambientale, la prosecuzione dell'attività produttiva per un periodo di tempo determinato non superiore a 36 mesi ed a condizione che vengano adempiute le prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame della medesima autorizzazione, secondo le procedure ed i termini ivi indicati, al fine di assicurare la più adeguata tutela dell'ambiente e della salute secondo le migliori tecniche disponibili. 2. Nei casi di cui al comma 1, le misure volte ad assicurare la prosecuzione dell'attività produttiva sono esclusivamente e ad ogni effetto quelle contenute nel provvedimento di autorizzazione integrata ambientale, nonché le prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame. È fatta comunque salva l'applicazione degli articoli 29-octies, comma 4, e 29-nonies e 29-decies del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni. 3. Fermo restando quanto previsto dagli articoli 29-decies e 29-quattuordecies del decreto legislativo n. 152 del 2006 e dalle altre disposizioni di carattere sanzionatorio penali e amministrative contenute nelle normative di settore, la mancata osservanza delle prescrizioni contenute nel provvedimento di cui al comma 1 e' punita con sanzione amministrativa pecuniaria fino al 10 per cento del fatturato della società risultante dall'ultimo bilancio approvato. La sanzione è irrogata, ai sensi dell'articolo 16 della legge 24.11.1981, n. 689, dal prefetto competente per territorio. 4. Le disposizioni di cui al comma 1 trovano applicazione anche quando l'autorità giudiziaria abbia adottato provvedimenti di sequestro sui beni dell'impresa titolare dello stabilimento. In tale caso i provvedimenti di sequestro non impediscono, nel corso del periodo di tempo indicato nell'autorizzazione, l'esercizio dell'attività d'impresa a norma del comma 1. 5. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare riferisce semestralmente al Parlamento circa l'ottemperanza delle prescrizioni dell'autorizzazione integrata ambientale nei casi di cui al presente articolo.

(13) “2. Tenuto conto della rilevanza degli interessi in comparazione, nell'ipotesi di cui al comma 1, l'attività d'impresa non può protrarsi per un periodo di tempo superiore a 12 mesi dall'adozione del provvedimento di sequestro.3. Per la prosecuzione dell'attività degli stabilimenti di cui al comma 1, senza soluzione di continuità, l'impresa deve predisporre, nel termine perentorio di 30 giorni dall'adozione del provvedimento di sequestro, un piano recante misure e attività aggiuntive, anche di tipo provvisorio, per la tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro, riferite all'impianto oggetto del provvedimento di sequestro. L'avvenuta predisposizione del piano è comunicata all'autorità giudiziaria procedente”.

(14) È stato peraltro giustamente osservato che ove si ritenga che “alle menzionate autorità spetti soltanto una verifica "a valle" circa la corrispondenza tra quanto prospettato nel piano e quanto realizzato in concreto - l'intervento normativo in esame si tradurrebbe in un'autorizzazione in biancoalla prosecuzione, per 12 mesi, di attività produttive rispetto alle quali la magistratura ha riscontrato il fumus di illiceità penale e la sussistenza di esigenze cautelari” così S. ZIRUGLIA, In vigore un nuovo decreto 'salva ILVA' (e anche Fincantieri), in www.penalecontemporaneo.it.

 

Pubblicato in Gazzetta degli enti locali, Maggioli, il 13 luglio 2015 (scritto il 9 luglio 2015)