Lexambiente - Rivista Trimestrale di Diritto Penale dell'Ambiente
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Consiglio di Stato Sez. VI n. 207 del 5 gennaio 2024
Beni culturali.Premio per il ritrovamento
In tema di beni culturali il premio per il ritrovamento ( di reperti o ruderi non importa ) trova giustificazione nella particolare meritevolezza del comportamento tenuto dal soggetto beneficiario. Tale meritevolezza è agevolmente ravvisabile nel comportamento del concessionario di ricerca, che si assume l’onere di organizzare l’attività di ricerca, anticipando anche i fondi necessari, dipoi garantendo la consegna del bene alle autorità pubbliche; considerazioni analoghe valgono per lo “scopritore” fortuito, il quale si viene a trovare nella condizione di poter nascondere la scoperta (che, proprio perché fortuita, non è conosciuta o conoscibile dalle autorità competenti, che pertanto non sono in condizione di esercitare la necessaria vigilanza), ma ciò nonostante si attiva per rendere noto il ritrovamento e per custodirlo e garantirne la consegna; é poi, per le medesime ragioni ravvisabile nel proprietario che sia anche concessionario di ricerca o “scopritore”, nonché nel caso in cui il concessionario o lo “scopritore” siano soggetti terzi rispetto al proprietario: ciò perché in tal caso l’attività del concessionario di ricerca e dello “scopritore” si rendono possibile grazie al consenso del proprietario, che deve consentire l’ingresso di tali soggetti sulla proprietà. Resta da porsi un Quid juris nel caso in cui – come nella specie – il ritrovamento sia effettuato direttamente dall’autorità preposta. La risposta che va data al quesito, in coerenza con quanto sopra detto, è che in un caso simile il proprietario ha diritto al premio per il ritrovamento non per il mero fatto di essere proprietario ma solo se sia apprezzabile un suo comportamento meritevole, per tale intendendosi un comportamento che possa essere considerato una specie di concausa efficiente del ritrovamento: ad esempio l’aver segnalato alla Soprintendenza anche solo dei piccoli reperti, la conformazione peculiare del terreno indicativa della presenza di emergenze archeologiche, qualsiasi elemento indicativo della possibile esistenza di ruderi o reperti nel sottosuolo; oppure l’aver consentito l’ingresso nella proprietà a prescindere da formali atti autoritativi; e, in generale, comportamenti simili, comportamenti, cioè, con i quali il proprietario presta una fattiva collaborazione che si rileva utile per far venire alla luce il ritrovamento.
Consiglio di Stato Sez.VII n. 42 del 2 gennaio 2024
Rumore.Regolamentazione emissione dei rumori da parte dei Comuni
L’art. 6, comma 3°, della l. 27/10/1995, n. 447, prevede che: “i comuni il cui territorio presenti un rilevante interesse paesaggistico-ambientale e turistico, hanno la facoltà di individuare limiti di esposizione al rumore inferiori a quelli determinati ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera a), secondo gli indirizzi determinati dalla regione di appartenenza, ai sensi dell'articolo 4, comma 1, lettera f) …”. La citata norma consente (e non obbliga) i Comuni, il cui territorio presenti un rilevante interesse paesaggistico, ambientale e turistico, di attuare una più specifica regolamentazione dell'emissione dei rumori, e, in questo ambito, di disciplinare l'esercizio di professioni, mestieri ed attività rumorose anche con l'istituzione di fasce orarie in cui soltanto possano essere espletati, e di prendere così in considerazione, oltre al dato oggettivo del superamento di una certa soglia di rumorosità, anche gli effetti negativi di quest'ultima sulle occupazioni o sul riposo delle persone, e quindi sulla tranquillità pubblica o privata. La norma in commento consente e non obbliga i Comuni ad individuare una più specifica regolazione delle immissioni, fermo restano l’impossibilità di diminuire i limiti di emissione sonora prescritti dalla citata normativa.
Cass. Sez. III n. 2071 del 17 gennaio 2024 (UP 20 dic 2023)
Pres. Ramacci Rel. Galterio Ric. Mastrovito
Rumore.Rilevanza penale dei rumori provocati in ambito condominiale
Il bene giuridico tutelato dalla contravvenzione di cui all'art. 659 c.p. è costituito, come emerge dallo stesso nomen della rubrica, dallo svolgimento delle attività e del riposo delle persone che il legislatore intende presidiare da indiscriminate attività di disturbo, le quali, tuttavia, non possono essere identificate, proprio in ragione del plurale figurante nella norma, in un singolo soggetto, pur infastidito in ragione della prossimità della fonte sonora a quella del suo luogo di lavoro o della sua abitazione, bensì da un numero indeterminato di persone le quali soltanto consentono di individuare, al di là della vastità dell'area interessata dalle emissioni o dall’entità del numero dei soggetti lesi, un pregiudizio inferto all’ordine pubblico nella specifica accezione della pubblica quiete. Ciò non toglie che possa trattarsi di soggetti annoverabili in un ambito ristretto, come avviene in un condominio costituito da più palazzine o da più appartamenti ubicati in uno stesso stabile, ma in tal caso è necessaria la produzione di rumori idonei ad arrecare disturbo o a turbare la quiete e le occupazioni non solo degli abitanti dell'appartamento sovrastante o sottostante la fonte di propagazione, ma di una più consistente parte degli occupanti il medesimo edificio, configurandosi, altrimenti, soltanto un illecito civile foriero di un eventuale risarcimento del danno e non certamente una condotta penalmente rilevante ai sensi dell’art. 659 cod. pen. E se è ben vero che non vale ad escludere la configurabilità del reato la circostanza che solo alcuni dei soggetti potenzialmente lesi dalle emissioni sonore se ne siano lamentati, occorre ciò nondimeno in tal caso l’accertamento sia dell'idoneità delle stesse ad arrecare disturbo non solamente a un singolo ma a un gruppo più vasto di condomini residenti in appartamenti diversamente ubicati nell’edificio, sia della loro diffusività in concreto, tale da superare i limiti della normale tollerabilità di emissioni provenienti da immobili contigui.
Caldo e mortalità. Decreto caldo.
di Aldo DI GIULIO
Consiglio di Stato Sez. IV n. 11239 del 29 dicembre 2023
Rifiuti.Impianto di recupero dei rifiuti proveniente dalla raccolta differenziata e contributo di costruzione
L’art. 17, comma 3, lett. c), del d.P.R. n. 380 del 2001 stabilisce che il contributo di costruzione non è dovuto: “... c) per gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti nonché per le opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici”. Va evidenziato il carattere eccezionale e derogatorio delle ipotesi di concessione edilizia gratuita, a fronte del principio generale che è, invece, quello della sua onerosità, cosicché l’esenzione dal contributo concessorio riguarda ipotesi tassative e da interpretare in senso restrittivo. Per poter beneficare della esenzione dal contributo di costruzione debbono concorrere requisiti di carattere oggettivo e soggettivo. Nel caso di specie (impianto di recupero dei rifiuti proveniente dalla raccolta differenziata) viene in rilievo un impianto di proprietà della società appellante, realizzato per l’esercizio di un’attività imprenditoriale, che solo indirettamente assolve anche ad una finalità di interesse generale. Sono proprio la natura privata dell’impianto della società appellante e il fine lucrativo da questa perseguito ad evidenziare la mancanza del requisito soggettivo che la giurisprudenza ha individuato, accanto a quello oggettivo, per poter beneficiare dell’esenzione dal contributo di costruzione.
Cass. Sez. III n. 690 del 9 gennaio 2024 (CC 11 ott 2023)
Pres. Ramacci Rel. Aceto Ric. Favicchio
Urbanistica.Demolizione e irrilevanza della declaratoria di prescrizione per frazioni della condotta
Il fatto che l’autore del reato di cui all’art. 44, lett. b) o c), d.P.R. n. 380 del 2001, venga processato e condannato tante volte quante sono quelle nelle quali ha ripreso l’attività precedentemente interrotta da provvedimenti dell’autorità giudiziaria, nulla toglie all’unicità dell’oggetto materiale della condotta e del disegno criminoso che ne lega le singole porzioni, sicché non viola in alcun modo il divieto di un secondo giudizio il giudice che ordini la demolizione dell’intero manufatto abusivo, anche se oggetto di cognizione è solo l’ultima frazione della condotta; del resto, l’accertata abusività delle “frazioni” precedenti “contagia” anche quelle successive con la conseguente necessità di demolire il fabbricato nella sua interezza; né - del resto - l’ordine di demolizione è una pena, sicché nemmeno si può affermare che l’autore dell’abuso venga punito più volte per lo stesso fatto. Va piuttosto ricordato che la preclusione del cd. giudicato esecutivo opera per le sole questioni dedotte ed effettivamente decise e non anche per le questioni meramente deducibili, ovvero per le questioni proponibili ma non dedotte o non valutate nemmeno implicitamente nella precedente decisione definitiva
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